«Benvenuti in Palestina»

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«Anche questa volta non perderemo l’occasione per apparire ridicoli agli occhi del mondo», si lamentava ieri sulle pagine web del giornale Haaretz il pungente Gideon Levy in riferimento alle eccezionali misure di sicurezza organizzate all’aeroporto «Ben Gurion» di Tel Aviv per l’arrivo domani di 1.500 pacifisti che dichiareranno che la propria destinazione è la Palestina. L’obiettivo della missione, Benvenue en Palestine 2012, dichiaratamente non violenta, è di «rendere evidente al mondo» il blocco a cui sono sottoposti i Territori occupati palestinesi e che Israele controlla (e limita) i movimenti anche degli stranieri diretti in Cisgiordania e Gaza. «È importante che la comunità  internazionale si renda conto che i palestinesi vivono in una grande prigione controllata dalle forze militari israeliane. Ma anche chi è in prigione ha il diritto di essere visitato», ha spiegato il docente universitario Mazen Qumsiyeh, uno dei promotori. Se domani riusciranno a superare i controlli all’aeroporto «Ben Gurion», i partecipanti – provenienti da una ventina di paesi, non pochi dei quali sono italiani – andranno a Beit Jala (Betlemme) per contribuire alla costruzione della «Scuola Internazionale Palestina», i cui terreni sono già  stati acquistati.
L’iniziativa segue quella dello scorso luglio. Anche in quell’occasione la risposta israeliana non si fece attendere. Tel Aviv inviò una black list con i nominativi di centinaia di attivisti «indesiderati» a varie compagnie aeree (tra cui l’Alitalia) che negarono l’imbarco ai segnalati. Altre 200 persone furono bloccate nelle ore successive all’arrivo a Tel Aviv, detenute a Ber Sheva e Ramle e poi rispedite a casa. «Lo Stato di Israele quest’anno non potrà  contare sulla complicità  delle compagnie aeree, costrette nel 2011 ad affrontare ingenti costi di rimborso per tutti i passeggeri a cui fu negato l’imbarco», ha avvertito qualche giorno fa uno degli organizzatori di Benvenue en Palestine 2012. Una previsione un po’ troppo ottimistica. Sotto la pressione di Israele, che minaccia di far pagare alle compagnie aeree i costi del rimpatrio degli attivisti, la Lufthansa ha inviato una mail a 80 passeggeri, comunicando che a seguito del rifiuto israeliano i loro biglietti sono stati annullati. Tra questi ci sarebbero anche persone non coinvolti con l’iniziativa.
Coloro che riuscirano a raggiungere Tel Aviv verranno trattati alla stregua di «soggetti pericolosi» non appena dichiareranno di voler andare in Cisgiordania. «Ci occuperemo dei provocatori – ha avvertito il ministro della sicurezza interna Yitzhak Aharonovitch – nel modo più rapido ed efficiente possibile, senza rincorrerli per i corridoi dell’aeroporto». Sono oltre 650 gli agenti di diversi corpi mobilitati per prevenire l’ingresso degli attivisti ed incaricati di impedire che Benvenue en Palestine 2012 conquisti visibilità . Il piano di «sicurezza» israeliano prevede che i pacifisti vengano deviati verso il piccolo Terminal 1, evitando che possano passare per il Terminal 3, quello principale del “Ben Gurion» dove transita il grosso dei turisti. A «dare una mano» alle forze di sicurezza ci saranno anche decine di militanti e uomini politici dell’estrema destra tra cui il deputato Michael Ben-Ari e i coloni di Hebron, Baruch Marzel e Itamar Ben-Gvir, intenzionati ad «accogliere adeguatamente i nemici di Israele». 
Il clamore intorno alla vicenda è enorme, i servizi di sicurezza hanno persino convocato (e ammonito) diversi pacifisti ed attivisti israeliani coinvolti con Benvenue en Palestine 2012. Gideon Levy ha scritto nel suo editoriale su Haaretz che se Israele rinunciasse alle sue paranoie e accogliesse senza problemi i partecipanti a questa «iniziativa innocente» ben pochi, a suo avviso, la noterebbero. Per le autorità  invece gli attivisti vanno rispediti subito a casa, perchè una volta entrati si uniranno a mobilitazioni di protesta organizzate dai palestinesi. Critici, per motivi ben diversi, i militari. Un alto ufficiale ha detto al quotidiano Israel Hayom: che «la rivelazione dei preparativi e tutta la pubblicità  che circonda gli attivisti sta trasformando il fly-in in una battaglia tra Davide e Golia e questo è esattamente quello che gli organizzatori della flytilla vogliono per metterci in imbarazzo di fronte al mondo intero».


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