Le banche sono salve ma per famiglie e imprese i prestiti restano difficili

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Ltro è l’acronimo di Long term refinancing operation: il maxi finanziamento da 1.000 miliardi per tre anni concesso dalla Bce alle banche, a un tasso minimo dell’1%.
Un intervento che per molti ha arrestato una crisi che rischiava di travolgere l’euro.
Gli obiettivi del LTRO erano cinque. (1) Scongiurare una crisi del debito pubblico, specie in Italia e Spagna che nei primi mesi del 2012 avevano ingenti volumi di titoli di stato in scadenza. Con LTRO la Bce ha dato alle banche i soldi e l’incentivo (lo spread tra costo del finanziamento e rendimento dei titoli) per intervenire a sostegno del debito pubblico. (2) Superare la crisi di liquidità  delle banche che non si finanziavano più fra loro, e avevano difficoltà  a rifinanziare le proprie obbligazioni in scadenza, per via dell’esposizione al rischio sovrano. (3) Guadagnare tempo per completare la ristrutturazione del debito greco, mettendo al riparo il sistema finanziario dal rischio di un default disordinato. (4) Sostenere i bilanci delle banche, migliorando il margine di interesse, per frenare il crollo dei titoli bancari in Borsa e permettere gli aumenti di capitale richiesti dall’Autorità  Bancaria Europea (Eba). (5) Riavviare il ciclo del credito, riducendo la qualità  delle attività  accettate dalla Bce come garanzia per i propri prestiti, incentivando così le banche a prendersi più rischi e allargare i cordoni della borsa.
Obiettivi raggiunti, per ora, tranne l’ultimo, il più importante: la stretta creditizia c’è e si vede. E nonostante il cauto ottimismo dei documenti ufficiali, la situazione è destinata a peggiorare, anche a causa degli effetti collaterali del LTRO, come spesso accade quando al malato si somministrano dosi massicce di farmaci potenti.

LA DEBOLEZZA DEL CREDITO
La crisi bancaria nell’eurozona ha origine nella forte esposizione delle banche al rischio sovrano. Isolare le banche da questo rischio sarebbe prioritario per rilanciare la loro attività . Con il LTRO, invece, chiamando le banche a sostenere il mercato del debito pubblico, si sono ancor più legate le sorti del credito privato a quelle della finanza pubblica. E la via di uscita si complica. A fine febbraio le banche italiane detenevano 280 miliardi di titoli di Stato, a fronte di 200 miliardi di esposizione complessiva verso la Bce. Disfarsi di una tale mole di titoli non sarà  facile: si rischia un crollo del valore del debito pubblico, anche perché sul mercato non c’è ancora traccia di acquirenti esteri.
Da questo punto di vista, il LTRO è in rotta di collisione con l’Eba. Le ricapitalizzazioni richieste dai suoi stress test, infatti, avevano l’evidente scopo di penalizzare i sistemi bancari con la maggiore esposizione al rischio sovrano: degli oltre 100 miliardi di aumenti di capitale richiesti, il 75% riguardavano Grecia (30), Spagna (26), Italia (15) e Portogallo (8). Quindi, mentre l’Eba penalizza le banche più esposte al rischio sovrano, la Bce le incentiva ad assumerne ancora di più.
Non è l’unica incoerenza. L’Eba stabilisce i requisiti di capitale prudenziali che le banche devono rispettare, avendo il compito di vigilare sulla stabilità  del sistema finanziario europeo, ma opera nell’ambito degli accordi internazionali di Basilea. L’implementazione delle regole e la vigilanza bancaria è però delegata alle autorità  dei singoli paesi, ognuna delle quali interpreta e applica le regole in modo autonomo. Se poi scoppia una crisi di liquidità , è compito della Bce intervenire; anche se, come si è visto, magari con obiettivi plurimi. Ma quando una crisi di liquidità  degenera in insolvenza, sono allora gli stati sovrani (come Irlanda, Spagna, Belgio), e/o il Fondo di Stabilità  Europeo (in Grecia) a intervenire.

La soluzione europea
Una confusione inaccettabile. La crisi bancaria è europea, e richiede una soluzione a livello europeo. Più del fiscal compact ci sarebbe stato bisogno di un accordo per una struttura comune di vigilanza europea, che stili le regole e le applichi uniformemente; e di un unico meccanismo di intervento in caso di crisi. Dopo la sovranità  monetaria, servirebbe che gli Stati dell’euro delegassero anche la sovranità  sulla vigilanza del sistema finanziario. Ma oggi è fantascienza.
Le indicazioni di vigilanza e il LTRO, anche se in modi diversi, disincentivano la ripresa dei prestiti bancari, e rallentano il necessario e inevitabile processo di ristrutturazione delle banche. Dopo la sbornia da debito, la stabilità  del sistema richiede un lungo processo di delevering, che inevitabilmente riguarderà  anche le banche italiane. Più che ai confronti internazionali, è al profilo temporale dell’indebitamento a cui bisogna guardare. Dieci anni fa, i prestiti delle banche italiane alle imprese e le famiglie residenti erano pari al 60% del Pil nominale; oggi sono il 95%: è illusorio sperare che il rapporto possa continuare ad aumentare; più realisticamente si stabilizzerà  o diminuirà . Questo implica una crescita dei prestiti che non supera di molto l’inflazione. Per molte aziende, significa stretta creditizia: per un’impresa sana, infatti, il capitale circolante, tipicamente finanziato dalle banche, cresce più rapidamente dell’economia (a prezzi correnti). Infatti, nei tre anni precedenti la crisi, la crescita del credito bancario alle piccole imprese italiane, che in banca finanziano prevalentemente il circolante, è rimasta stabile al 6%; oggi è negativa, dopo aver toccato un massimo di circa il 3% nel corso del 2011.

iL rischio italiano
Il trend alla riduzione del rischio nei bilanci delle banche è anche imposto dalla regolamentazione. Nei requisiti patrimoniali, viene data grande enfasi al numeratore, il capitale; non abbastanza al denominatore, il valore delle attività  ponderate per il rischio (Rwa). Ogni banca valuta le Rwa con un proprio modello, con criteri che differiscono da paese a paese e che sono variati nel tempo: i valori non sono confrontabili, ma forniscono qualche indicazione utile a capire i trend. Da prima della crisi a oggi, le tre maggiori banche italiane hanno ridotto complessivamente il peso delle Rwa sul totale delle attività  dal 59% al 49%. Comunque le si misuri, il trend alla riduzione del rischio degli attivi è chiaro; e nella scala dei rischi, quelli non garantiti alle imprese, specie piccole, sono in alto. Un confronto internazionale, per quanto poco significativo, ci porta alle stesse conclusioni: il rapporto italiano rimane più elevato che per le maggiori banche inglesi (40%), francesi (35%) o svizzere (20%). La riduzione del rischio degli attivi è quindi la strada che le banche percorreranno per migliorare i ratio patrimoniali.
Disquisire se la contrazione del credito sia dovuta a una minor domanda o a una contrazione dell’offerta, è ozioso: in recessione la domanda complessiva di credito da parte delle imprese si riduce perché viene meno la componente legata al finanziamento delle acquisizioni, le operazioni immobiliari, e quelle finanziarie a leva; ma è anche vero che le banche elevano gli standard per l’accesso al credito per ridurne i rischi. Dare la colpa a l’una o l’altra parte non risolve nulla.
La prima riforma del nostro mercato finanziario dovrebbe invece essere la creazione di mercato di obbligazioni corporate; un canale di finanziamento che da noi esiste solo per una manciata di grandi imprese. Per le piccole e medie imprese la soluzione è la cartolarizzazione dei loro prestiti. Ma le banche italiane dovrebbero accettare di vedersi disintermediate, cooperando alla creazione e collocamento di queste obbligazioni, invece di vederle come concorrenti delle proprie, o come un modo per rifilare spazzatura ai risparmiatori.

dipendenze pericolose
Il LTRO rischia anche di creare una pericolosa dipendenza dal credito facile della Bce. Il primo problema del LTRO è la exit strategy: se la maggioranza delle banche aspetta la fine dei tre anni per rimborsare la Bce, una nuova crisi di liquidità  è assicurata. E poiché la Bce dichiara di non voler monetizzare il tutto, le banche probabilmente cercheranno di uscire dalla trappola dei tre anni rimborsando il prima possibile (se ne avranno le risorse). Data l’incertezza sulla tempistica dell’exit strategy, dubito che vogliano impegnare le risorse della Bce in nuove linee di credito con le imprese che, di fatto, costituiscono un impegno più duraturo. Per le banche rimane comunque la convenienza a utilizzare i fondi della Bce come sostituto delle proprie obbligazioni, rimborsandole, o evitando di emetterle; piuttosto che per espandere i prestiti. Anche contando i vari scarti di garanzia, non credo che il costo del finanziamento medio con la Bce superi di molto il 2%. Se usato per un prestito a un’impresa il margine per la banca sarebbe oggi al massimo 1,5-2%. Se invece è usato per evitare di emettere una tipica obbligazione a 5-7 anni, visto il costo del rischio Italia, risparmia anche il doppio.
La Bce richiede inoltre che le banche offrano in garanzia le loro attività  migliori, diventandone così creditore privilegiato, dopo i depositanti; ma rendendo in questo modo più rischiose, perché maggiormente subordinate, le obbligazioni bancarie. Le banche, quindi, non hanno né la convenienza né l’incentivo a usare il LTRO per aumentare il credito alle imprese.
Ma il danno maggiore provocato dai finanziamenti della Bce sono i facili margini che questi garantiscono alle banche, riducendo la pressione a ristrutturare rapidamente (dismettendo attività , tagliando costi, innovando prodotti, competendo aggressivamente sui prezzi, eccetera). Invece le ristrutturazioni bancarie sono una necessità , soprattutto in Italia. Ma richiedono idee, capacità  e coraggio che, evidentemente, mancano.


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