Le “spose bambine” in Europa e in Italia

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Il matrimonio di Samina, infatti, non è avvenuto in un remoto villaggio dell’Asia centrale, ma in una moderna città  del nord Inghilterra. Tra violenze, abusi e rimpatri coatti nel proprio Paese d’origine, quello delle “spose bambine” è infatti un fenomeno molto comune in tutta Europa, soprattutto in Paesi con un alto tasso di popolazione immigrata. Nel 2011 l’Home Office’s Forced Marriage Unit, istituzione inglese nata proprio per far fronte al problema, ha riportato circa 1500 casi di matrimoni forzati nel Paese, ma secondo il governo inglese sarebbero molti di più, dai 5000 agli 8000, tra cui moltissimi casi non denunciati. In Germania si parla di 3000 casi l’anno, che coinvolgono soprattutto ragazze della comunità  turca: secondo una relazione governativa il 27% di loro avrebbe rischiato di essere uccisa a causa delle violenze corporali estreme. In Francia si arriva addirittura a parlare di 60mila vittime l’anno.

Per quanto riguarda una stima globale, le Nazioni Unite calcolano che ogni anno nel mondo 60 milioni di ragazze sotto i 18 anni siano costrette a sposare l’uomo scelto dai loro genitori o parenti. Spesso si tratta di uomini che le ragazze non hanno mai visto, con cui devono adempiere ai doveri coniugali volenti o nolenti, anche se giovanissime: uno stupro in piena regola dunque, anche se si verifica tra le mura di casa, e per cui non sempre esiste una protezione giuridica. Basti pensare che secondo l’Onu, in 141 paesi lo stupro domestico è legale, e il matrimonio forzato è considerato giuridicamente una forma di violenza domestica.

Anche in Italia, contrariamente a quanto si pensi, il fenomeno dei matrimoni forzati è molto diffuso. “Uno dei problemi principali è proprio il fatto che ancora non esistono delle stime ufficiali” spiega Tiziana Dal Pra, presidente dell’associazione Trama di Terre, che da anni si occupa di diritti umani e di violenza di genere. Proprio da Trama di Terre arriva l’indagine più recente, che si ferma al 2008 e raccoglie 33 testimonianze nella sola Emilia Romagna tra giovani marocchine, pakistane, indiane, più un’italiana. Da segnalare il fatto che tre di questi casi hanno come vittime degli uomini. Certo sono più che altro eccezioni, in quanto si tratta di un fenomeno soprattutto femminile, che coinvolge ragazze poco più che adolescenti, che spesso non riescono a ribellarsi e denunciare violenze, segregazioni, stupri o rimpatri forzati nei paesi d’origine. E anche quando denunciano, i problemi non sono certo finiti, tra abbandoni, minacce di morte, profonda solitudine. “Non bisogna stigmatizzare religioni o culture, in quanto si tratta di violenza di genere, che va studiata nella sua specificità  – afferma Tiziana Dal Pra – dopotutto fino agli anni ‘60 certe cose succedevano anche in Italia. Oggi non è più così e paradossalmente è un fenomeno che pure in qualcuno dei Paesi d’origine di queste donne si sta affievolendo, ma che gli immigrati in Europa e in Italia continuano a perpetuare perché sentono molto di più il bisogno di mantenere tradizioni e identità ”.

Proprio per questo Trama di Terre, insieme alla onlus Action Aid e alla fondazione Vodafone Italia, hanno messo a punto un progetto nazionale che mira a monitorare e contrastare il fenomeno. Tra le linee direttrici: creare un network nazionale e internazionale tra gli operatori e le organizzazioni che lavorano in questo ambito in modo da condividere le buone pratiche; iniziare un percorso di formazione per operatori pubblici e privati del territorio; sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, e soprattutto aprire un canale con la politica affinché si elaborino nuovi strumenti legislativi, a partire dalla richiesta di estendere l’articolo 18 del Testo Unico a tutela delle vittime di tratta anche per le donne costrette ai matrimoni forzati. L’Emilia Romagna, con il sindaco di Novellara Raoul Douli in testa, è già  pronta a guidare un tavolo delle regioni per cominciare a stendere delle linee d’azione. Lo scopo è arrivare alla fine a un Piano Nazionale di contrasto.

L’opinione pubblica italiana ha iniziato a venire a conoscenza del fenomeno soprattutto dal 2006, dopo il caso di Hina, la ragazza pakistana ma residente in provincia di Brescia, uccisa dal padre perché si era innamorata di un italiano; o quello di Kawor, indiana ma da diversi anni domiciliata vicino a Modena: rimasta vedova fu costretta a sposare il fratello del marito, e quando questo la voleva raggiungere in Italia si è suicidata sotto un treno. Anche questo è accaduto nel 2006.

Per quanto riguarda Samina, la bambina inglese-pakistana data in sposa a 5 anni, la sua storia per fortuna ha un finale diverso. Dopo aver lasciato la scuola a 13 anni ed esser stata rapita e portata in Pakistan in casa del marito, per anni ha vissuto sotto chiave, tra botte e abusi sessuali e psicologici. Solo molti anni dopo la ragazza, rientrata in Italia e ormai diventata donna, avrà  il coraggio di lasciare casa e marito. Troverà  aiuto nelle associazioni, nelle istituzioni inglesi e paradossalmente anche nella religione, in quell’Islam così spesso criticato in occidente ma che, afferma Samina, “in nessun modo giustifica i matrimoni forzati, specie se riguardano bambini così piccoli”. Oggi ha 40 anni e lavora per un’associazione e si occupa di ragazze che hanno bisogno di aiuto. “Ho smesso finalmente di guardare me stessa attraverso gli occhi degli altri – racconta infine – Ho capito finalmente che non sono un essere inferiore. Dentro di me sapevo che prima o poi sarei stata libera”.


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