L’Egitto sospende il metano a Israele

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È una controversia tra una compagnia egiziana e una israeliana (che non avrebbe pagato quanto doveva, ndr)», ha provato a spiegare il premier Netanyahu ad un gruppo di leader dell’Israel Bonds, aggiungendo che le riserve di gas scoperte di recente (e causa di tensioni con Libano e Turchia), presto daranno a Israele l’autosufficienza. Poco prima il capo del dipartimento politico-militare del ministero della difesa, Amos Ghilad, aveva elogiato il livello di cooperazione di sicurezza fra i due paesi e ribadito che per Israele gli accordi di pace con l’Egitto hanno un «valore supremo».
Se si vuole dare credito alle dichiarazioni fatte ieri dal ministro egiziano per la cooperazione internazionale – «l’Egitto non ha difficoltà  a concludere un nuovo accordo con Israele per la fornitura di gas ma a prezzi nuovi e a nuove condizioni» – si potrebbe pensare che Netanyahu e Ghilad abbiano ragione. Il quadro invece è molto più complesso. L’Egitto post-Mubarak non arriverà  al punto da interrompere i rapporti diplomatici con Israele – i Fratelli musulmani vincitori delle elezioni ricercano buoni rapporti con gli Stati Uniti e sanno che non possono mettere in discussione gli Accordi di Camp David (che però vorrebbero «rivedere») -, ma tra gli egiziani è forte il risentimento per le politiche di Israele nella regione, specie verso i palestinesi sotto occupazione (nel 2011 è stata assaltata l’ambasciata israeliana al Cairo). Milioni di cittadini egiziani pensano che i trent’anni di potere di Hosni Mubarak abbiano favorito gli interessi di Tel Aviv più di quelli dell’Egitto e degli arabi. A gettare benzina sul fuoco è anche lo scandalo del gas venduto Israele ad un prezzo più basso di quello di mercato, che ha visto per protagonista Hussein Salem, uno stretto collaboratore di Mubarak, mentre gli egiziani da mesi sono alle prese con una grave crisi energetica. 
La giunta militare al potere, guidata dal generale Tantawi, non può non tenere conto dei sentimenti popolari, nonostante i rapporti stretti che mantiene con gli apparati militari statunitensi e israeliani. Lo sa bene l’ex ministro della difesa di Israele Benyamin Ben Eliezer secondo cui la pipeline del gas egiziano «puntellava gli accordi di pace» bilaterali. La fine della erogazione – ha stimato – «rappresenta la rimozione dell’ultimo legame fra di noi». Ben Eliezer esagera ma non è così lontano dalla realtà . Ad aggravare il malumore egiziano c’è anche il recente appello lanciato dall’«Ente per il monitoraggio del terrorismo» affinchè i civili israeliani abbandonino subito il Sinai, per il rischio di possibli sequestri di persona, nel momento in cui il Cairo fa il possibile per rilanciare la sua industria turistica. Soprattutto sono giunte puntuali le dichiarazioni del ministro degli esteri israeliano Lieberman, che ha sempre visto nell’Egitto un «grande pericolo» (diversi anni fa si pronunciò a favore del bombardamento della Diga di Assuan come misura punitiva contro il Cairo). Lieberman nei giorni scorsi, ha scritto il giornale israeliano Maariv, in alcune riunioni e porte chiuse avrebbe definito l’Egitto «una minaccia maggiore dell’Iran» e suggerito di inviare al confine tra i due paesi altre tre divisioni corazzate. Indiscrezioni di stampa che hanno spinto il ministro degli esteri egiziano Mohamed Kamel Amr ad incaricare l’ambasciatore in Israele di chiedere chiarimenti al governo Netanyahu.
La sospensione della fornitura di gas sarà  anche dovuta a «questioni commerciali» ma i rapporti tra Tel Aviv e il Cairo hanno toccato il punto più basso dalla firma degli Accordi di Camp David.


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