L’Europa Prende forma il patto per la ripresa e spunta un fondo Bei da 180 miliardi

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ROMA – L’Europa accelera,o almeno ci prova. La battaglia lanciata a dicembre da Monti per accompagnare il rigore con la crescita sfonda. Ora in Europa tutti ne parlano. E non fanno da meno il premier e il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, che in mattinata si vedono a Bruxelles prima dello European business summit, convegno dedicato al rilancio dell’economia. I due concordano che da qui a giugno i leader dovranno trovare un accordo forte sulla crescita. La prima tappa del dibattito europeo sarà  la lettera che a giorni Van Rompuy scriverà  alle capitali con una ricognizione su quanto resta da fare.

Poi partiranno le febbrili consultazioni tra cancellerie, che in due mesi dovranno portare a quel Patto per la crescita – o qualcosa di simile, la formula deve ancora essere trovata – battezzato l’altro ieri dal presidente della Bce Draghi. La prima misura che spunta, però, è esterna a questi negoziati. Viene dalla Banca europea per gli investimenti, che sta preparando una maxi-operazione da 180 miliardi per creare un fondo chiamato a finanziare infrastrutture e grandi opere europee. Si studia come reperire questa montagna di soldi evitando alle capitali di ricapitalizzare la Bei in un periodo conti pubblici fuori controllo.

Intanto chi è in contatto con Draghi scommette che l’Eurotower è pronta a lanciare altre operazioni di liquidità  per le banche dopo quelle che da dicembre hanno portato al sistema del credito circa mille miliardi. Con buona pace della Bundesbank, apertamente contraria.

Ossigeno, non infinito, che permette alle capitali di lavorare sulla crescita.

Monti è in vantaggio su tutti, sul rilancio è partito per primo. Al momento i pilastri su cui si muove l’Italia sotto la regia del duo Monti-Moavero sono due «enormi cantieri». Ma se ne potrebbero aggiungere altri, anche clamorosi, come la Golden rule. Innanzitutto il governo pressa Bruxelles perché al summit di fine giugno porti le direttive che attuano il piano sul mercato interno di Monti sottoscritto da altri 11 leader (e si potrebbero aggiungere altre 6-8 capitali tra cui Parigi e Berlino) e in parte fatto proprio dal Consiglio europeo di febbraio. Misure liberiste che prevedono apertura dei mercati nazionali a servizi, merci e professionisti provenienti dal resto dalle Ue. Si parla poi di digitale, energia, ricerca e più rapporti commerciali con il resto del mondo, a partire da Usa, India, Cina e Russia. Per questo Monti ha deciso di restare una notte in più a Bruxelles: oggi incontrerà  il presidente della Commissione, Barroso, per saperea che punto sono i lavori di scrittura di queste riforme. Intanto il commissario Barnier lancia un piano per l’autunno con altri 12 punti (brevetto europeo, investimenti per l’export, innovazione) che si intreccerà  con quello per l’industria del vicepresidente Tajani.

Il secondo pilastro italiano è il dossier da 430 miliardi sul bilancio dell’Unione 2014-2020. L’intento keynesiano è di arrivare al summit di fine giugno ad un accordo rivoluzionario:i fondi strutturalie quelli per l’agricoltura dovranno essere usati solo per finanziare la crescita. Una sorta di spending review a livello continentale sulla quale Moavero è riuscito a coinvolgere i cinque paesi che versano più soldi a Bruxelles, tra cui Francia e Germania. Con una differenza: loro i fondi li vogliono tagliare, mentre noi, ragionano Monti e i suoi, «se riusciamo a far passare questa rivoluzione che ridisegna la spesa pubblica europea potremo rilanciare e ottenere che vengano aumentatati». Iniziative che si intrecceranno con quelle che delle altre capitali (in attesa della lettera preannunciata da Hollande in caso di elezione). Al momento, lo sanno Monti e Draghi, non si può ancora parlare di Eurobond. E posto che il rigore (Fiscal compact) non si tocca lo staff del premier ragiona su altre misure: decisioni non ne sono ancora state prese, ma il terzo cantiere di Monti potrebbe essere la Golden rule. Lo ha detto ieri, servirebbe «un trattamento adeguato degli investimenti nei conti pubblici». Si tratta di sfilare dalle regole sugli aiuti di Stato e di non conteggiare nei parametri di Maastricht (deficit e debito) gli investimenti pubblici che generano crescita.

Una rivoluzione.


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