«Mi hanno spezzato le dita, non la volontà »

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C’è un uomo con il volto coperto da bende, eccetto per gli occhi pesti, e accanto a lui un brutto ceffo vestito di nero gli dipinge con un pennarello rosso un sorriso sulle fasciature. È una delle vignette del disegnatore siriano Ali Ferzat che sono state esibite a Londra pochi giorni fa in una mostra sponsorizzata da Amnesty International.
Il sessantenne Ali Ferzat, noto in tutto il mondo arabo, è stato ridotto in modo simile lo scorso agosto: picchiato da quelli che ha definito sgherri del regime, che gli hanno rotto le dita delle mani. Da Londra, prima di partire ieri pomeriggio per il Kuwait, dove si è rifugiato con la famiglia dopo l’assalto, dice che non è se stesso che ha disegnato in quella vignetta. Ferzat non ha perso, nonostante tutto, il sorriso e l’ottimismo vero. «Ho recuperato l’uso delle dita al 90 per cento», spiega attraverso un interprete. Uno dei suoi ultimi disegni mostra un fiore che, sbocciando dal suolo, solleva un carroarmato. E lui sostiene che «la vittoria del popolo è vicina», benché non spieghi come: non parla del piano di pace mediato dall’Onu, né si esprime a proposito di un intervento militare straniero caldeggiato da alcuni. Semplicemente, si dice certo che «il popolo non tornerà  più indietro». In una vignetta, c’è un soldato pronto a sparare contro un prigioniero. I due sono in piedi alle estremità  opposte di una tavola in bilico su una roccia: se il soldato spara, cadrà  anche lui insieme al dissidente. 
Il vignettista ha denunciato per decenni in un totale di 15.000 caricature la corruzione e l’ipocrisia del regime. Ma prima evitava di ritrarre persone precise. Dall’inizio delle rivolte in Siria un anno fa, represse con oltre 9000 morti secondo le stime dell’Onu, Ferzat ha iniziato a disegnare personaggi reali, incluso il presidente siriano. Una delle prime: Bashar Assad che strappa dal calendario la pagina del venerdì, perché come ogni settimana sarà  giorno di proteste. Poi Bashar Assad che chiede un passaggio al leader libico Gheddafi in fuga su una jeep. Assad che flette i muscoli allo specchio, e nel riflesso (non nella realtà ) sembra possente. Assad che cerca di sedersi in poltrona, ma le molle sono saltate: «Neanche la sedia lo vuole più», ha detto sorridendo ad un giornalista della Reuters alla mostra. 
Quelle vignette sono state portate in piazza dai manifestanti. E Ferzat ha ricevuto telefonate di minaccia, ma non si aspettava la ferocia di quell’attacco nelle prime ore del mattino del 25 agosto. Tre uomini a volto coperto l’hanno spinto fuori dall’auto mentre tornava a casa dal suo studio, l’hanno colpito a manganellate e hanno continuato a picchiarlo dopo averlo caricato nella loro vettura, mirando anche al volto, ma in particolare alle mani. Nonostante il governo abbia negato di aver ordinato l’attacco, Ferzat ha spiegato in una recente intervista alla giornalista italo-siriana Asmae Dachan che è certo che si trattasse di mercenari del regime che l’hanno abbandonato in strada credendolo morto: la tv Addunya trasmise di lì a poco la notizia del suo assassinio, per mano di una banda armata. Il mese prima, Ibrahim al-Qashoush, che aveva composto una popolare canzone contro il regime, era stato trovato morto con le corde vocali recise. 
Nell’accettare il premio «Index of Censorship», la scorsa settimana a Londra (non il suo primo riconoscimento, l’anno scorso ha ricevuto il «Sacharov»), Ferzat ha paragonato l’artista al lampionaio che accendeva i lumi nelle strade di un tempo. Il lampionaio (Al-Domari) era anche il nome del giornale satirico che Ferzat aprì a Damasco nel 2000, quando il giovane Bashar prese il posto del padre Hafez. Negli anni 90, aveva incontrato il futuro presidente, che visitò il suo studio, rise delle sue vignette, gli promise che non sarebbero state più bandite. Ma nel 2003 Al-Domari fu costretto a chiudere. Ferzat ha continuato a disegnare nel quotidiano di stato Tishreen e per altri della regione. «Il lampionaio accende una luce di amore, umanità  e libertà  quando i tempi sono oscuri e difficili», ha detto a Londra. 
E ora che le sue dita sono guarite, vuole tornare in Siria. A quanti lo pregano di non rischiare, risponde: «Non posso stare lontano dal mio Paese».


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