L’ultima chiamata del leader: «Dimettiti»

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BERGAMO — Alla fine, quello che ha tolto a Umberto Bossi i residui dubbi, è stato il comportamento di Rosi Mauro. Che prima si è negata a lungo persino a lui, poi è stata finalmente raggiunta al telefono attraverso l’addetta stampa Nicoletta Maggi: «Non andare in televisione a dir cazzate — avrebbe detto il Capo —. Non ci andare. E anzi, fammi il favore… Fai come ti ho detto: dimettiti… ». Ma la «badante», a quel punto, aveva ormai deciso la linea della resistenza disperata. E ha detto no.
Certo, in buona sostanza le decisioni ormai erano state prese, prima fra tutte l’anticipo del congresso federale. Ma la mente di Umberto Bossi, da giorni, è visitata da mille dilemmi. Intanto, sul suo tavolo, è comparso un nuovo dossier: sulla copertina, il nome di Luca Zaia. Qualcuno lo diceva: «L’Umberto sta pensandoci». Per la successione a sé stesso, è il pensiero che ronza, il governatore del Veneto potrebbe essere una buona carta. Ipotesi rafforzata dal fatto che a insistere sul nome del giovane presidente trevisano fosse un bossiano di strettissima osservanza come Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso e segretario uscente della Liga veneta: «Non c’è ragione per escludere a priori un veneto dalla leadership della Lega». Un ballon d’essai ispirato, pare, dallo stesso leader. L’argomento non è privo di suggestione: un segretario veneto darebbe segno di discontinuità , taglierebbe il fiato all’eterno brontolio di una regione che si sente marginalizzata dai lombardi, e soprattutto eviterebbe di mettere a capo del partito Roberto Maroni, il capo della «corrente» dei Barbari sognanti. Certo, Zaia non sa più come ripeterlo che lui non ci pensa proprio: «Sarei un irresponsabile se raccogliessi, da presidente della Regione Veneto, l’invito a candidarmi alla segreteria federale della Lega Nord».
In realtà , secondo un amico intimo di Bossi che ha parlato con lui negli ultimi giorni, la cosa è «assai più complicata». Perché il punto di vista del leader padano è la sua creatura: «Io devo pensare alla Lega — avrebbe detto —: mi son persino dimesso per salvare la situazione, e sai quanto mi sia costato». Pensare alla Lega significa soprattutto una cosa: «Devo evitare che si divida e che parta la pulizia etnica».
Da questo punto di vista, la linea del fondatore del Carroccio pare diametralmente opposta a quella di Maroni. Il leader dei Barbari ancora ieri l’ha ripetuto: le dimissioni di Renzo da consigliere regionale sono il «primo atto delle pulizie di primavera, ma non basta di certo». Più in generale, i maroniani di stretta osservanza sono convinti che la Lega non potrà  essere rilanciata senza far cadere nel cestino le teste di tutti coloro a diverso titolo imputabili di corresponsabilità  morale con il gruppo che si era insediato alla testa del movimento e condizionava le decisioni del Capo, limitandone i contatti e filtrando le informazioni che riceveva. In questo quadro, impensabile possano bastare le dimissioni di Renzo o di Maurilio Canton, il segretario varesino insediato d’imperio da Bossi. Un’impostazione, questa, che collide — ferma restando l’indifendibilità  di Belsito e Rosi Mauro — con quella bossiana: «Maroni divide. Il segretario dev’essere segretario per tutti. Anche se ora tanti sembrano con lui, rischiamo di perdere mezzo partito», avrebbe detto il Senatur.
Resta il fatto che la decisione presa ieri mattina dal triumvirato che guida la Lega dal giorno delle dimissioni di Bossi (Maroni, Calderoli e Dal Lago) ha in qualche modo rotto le uova nel paniere ai militanti più infiammati. L’idea era semplice: non consentire di parlare a nessuno che non fosse «il Bobo». Fischi a coprire qualunque voce che non fosse quella del «loro» Capo. Persino per Bossi era pronto un coro. Acido e irrispettoso, impensabile fino a poco fa. Ma che restituisce con efficacia le divisioni che certo il passo indietro di Renzo non hanno placato: «Umberto, riposati». 
Resta poi una terza opzione. Quella caldeggiata a partire da giovedì scorso dal gruppo intorno a Bossi, e forse non del tutto uscita dalla testa dello stesso Capo: dopo Bossi, Bossi. Una sua ricandidatura alla segreteria resta un’idea alla quale alcuni continuano a lavorare. In ogni caso, il leader sa che la serata di ieri ha segnato per lui un punto. A chi gli chiedeva se Maroni sarebbe stato il nuovo segretario, ha risposto secco: «Stasera no. Nella Lega non funziona così. Vedremo al congresso… ».


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