Monti, la sua luna di miele all’estero perde colpi

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Dimostrando di credere più all’ipotesi del quotidiano – una manovra correttiva del governo italiano – che alla smentita del presidente del consiglio. Monti non ha fatto in tempo a smaltire il jet lag del suo viaggio a oriente che, forse per la prima volta dal novembre scorso, ha dovuto porsi la domanda se la sua luna di miele con il resto del mondo si stia opacizzando. Gli indizi sono tutti dell’ultima settimana e non è detto che facciano una prova, ma certo Iron Man, copyright l’Economist, ha trovato sul tavolo di Palazzo Chigi qualche macchia di troppo.
Ieri mattina, in fondo a pagina 2 del Financial Times, Monti ha letto una nota che traduceva un rapporto confidenziale stilato dalla Commisione europea per il vertice dei ministri finanziari dela Ue di venerdì a Copenaghen. Titolata «Budgetary situation in Italy» (non ne posso parlare, è stata la smentita-non smentita del portavoce di Bruxelles), il rapporto sostiene che le misure di austerità  «chiaramente impressionanti» imposte dal governo Monti potrebbero non bastare, «ostacolate dall’outlook di una crescita depressa e da tassi di interesse relativamente alti. Il governo dovrebbe essere pronto a impedire che ci siano intoppi e a introdurre ulteriori misure se fosse necessario». Segue smentita di Palazzo Chigi e del ministro per lo sviluppo Corrado Passera («no, con l’austerità  non si cresce»), ma il problema resta: chi ha dato a Ft l’analisi per renderla nota e contraddire Iron Man?
Il giorno precedente non era stato migliore per il premier. Che, parlando in Cina, si era volutamente sbilanciato davanti a una platea di investitori sulla «crisi dell’eurozona superata». Ultimo dei messaggi positivi rilanciati nel suo viaggio asiatico, per cercare di convincere chi ha i soldi a portarli anche in Italia. Il tempo di trascrivere il suo ottimismo e un’altra analisi, questa volta di Morgan Stanley, di fatto lo smentiva: le banche europee, italiane comprese, avrebbero bisogno di altri 200 miliardi di euro perché la crisi non faccia davvero più paura. Ora, la banca d’affari americana gioca una partita che non è la nostra nel senso europeo, ma quanto tutto ciò può danneggiare la credibilità  del premier italiano all’estero? Tanto più che, sempre lunedì, Hugo Dixon, direttore dell’influente sito finanziario Reuters Breakingnews, affidava alla carta pesante dell’Herald Tribune un’ottantina di righe dal titolo «E’ troppo presto per dichiarare che la crisi è finita». «Ci sono segnali di affaticamento», scrive Dixon, «uno dei quali è la tendenza di alcuni politici, il più recente è il premier Mario Monti, a dire che il peggio della crisi è passato. Ma è troppo presto per dichiarare vittoria». Dixon sospetta addirittura che la luna di miele del premier in Italia stia finendo. E costituisce solo un altro indizio – ancora dal viaggio asiatico – la forzatura dei complimenti di Obama, rivelatisi carsici nella comunicazione ufficiale.
Il premier adesso ha gli occhi della comunità  internazionale sulla riforma del mercato del lavoro, e non può sbagliare. Perché l’ha venduta come una calamita per attirare gli investimenti stranieri, anche se il problema dell’Italia non è la rigidità  dell’articolo 18 ma la crescita sottozero e la disoccupazione in aumento. Negli scenari europei che le multinazionali costruiscono per capire come gestire il loro business, l’Italia in default è uscita nel novembre scorso grazie a Iron Man. La Grecia è invece rimasta in una doppia versione, ci raccontano dall’interno di una di queste multinazionali: default nonostante l’intesa firmata con la troika che ha straziato il tessuto sociale del paese fra licenziamenti, tagli di stipendi, pensioni e diritti; oppure, default pilotato in accordo con Bruxelles. Oggi l’Italia è una Grecia non dichiarata, ma Monti sostiene che le cose vanno. L’impressione è che stia diventando più difficile convincere la comunità  estera. «Due terzi degli italiani si oppongono alla riforma del lavoro», annota Dixon. Mentre da noi pare sia solo una questione di Fiom e dintorni.


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