NON È SEMPLICE, MA CI VUOLE L’IMPEGNO DI TUTTI

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E non solo in Italia ma anche in Europa, dove solo così, probabilmente, si potrà  ipotizzare quel superamento del conflitto che divide le “due sinistre”, quella radicale e quella moderata, che da decenni impedisce la costruzione di un’effettiva alternativa all’egemonia delle destre. Gli estensori del Manifesto per un soggetto politico nuovo hanno scelto un altro punto di vista: quello della crisi verticale che attraversa il rapporto tra i cittadini e i partiti politici, tra rappresentanza e partecipazione, tra bene comune e una pratica della politica come “affare privato” di una classe dirigente ridotta a ceto che non sa uscire dalla propria autoreferenzialità . Che questo sia il compito del momento, l’urgenza cui far fronte, non c’è alcun dubbio. Al di là  di tutte le considerazioni più generali sui rischi cui, sotto i colpi di una crisi sistemica, è esposta la democrazia, soprattutto nel nostro paese, a dirci della necessità  impellente di realizzare una svolta nell’agire politico e nei suoi metodi, basterebbe quello che sta emergendo nelle vicende della Lega e della Margherita rispetto all’uso delle risorse del finanziamento pubblico. Ciò spiega anche le aspettative (di gran lunga superiori a quelle ottenute in altri momenti da iniziative che invocavano la necessità  di costruire a sinistra un nuovo soggetto politico: penso al Convegno di Orvieto promosso nel 2006 dall’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, Uniti a Sinistra e l’Associazione Rosso Verde) che il Manifesto ha suscitato in settori significativi di una sinistra frustrata e delusa dall’impotenza della politica in questa fase cruciale della vita del Paese. Il problema è se è possibile dare una risposta efficace e duratura alle questioni che il Manifesto solleva solo attraverso l’intreccio tra pratiche partecipative nell’agire politico e tematica dei beni comuni e se, invece, non si tratta di indicare una direzione di marcia a partire dai conflitti e dai rapporti che si possono intessere tra le classi nelle pieghe profonde della società , restituendo al lavoro quella funzione ordinatrice di un nuovo modello di società  e di sviluppo che la rivoluzione neoconservatrice ha negato e destrutturato nel corso dei decenni trascorsi. E questo in un momento in cui il lavoro, organizzato entro moderni rapporti di produzione e di scambio, ha assunto dalla Cina al Brasile, dall’India alla Russia e al complesso di tutti i Paesi emergenti – effettivamente una dimensione mondiale. Come si vede non è solo un problema di contenuti e di programma. L’importante tuttavia è che un sasso sia stato lanciato nella morta gora in cui la sinistra politica, dopo la sconfitta del 2008, si è impantanata, nonostante i tentativi sia di Rifondazione che di Sel di cercare vie di uscita, quasi sempre in alternativa e competizione tra di loro. Sarebbe necessario che il Manifesto diventasse una base di discussione aperta a ulteriori sviluppi e integrazioni in un confronto senza reti e pregiudiziali di sorta, senza preclusioni verso alcuno, attento a evitare le insidie dell’autoreferenzialità  a cui, per forza di cose, anche le iniziative animate dalle migliori intenzioni (si pensi alla parabola del Social Forum) sono esposte, nella consapevolezza che la sfida che sta di fronte a tutta la sinistra è di portata storica e deve essere in grado di affrontare i problemi urgenti e drammatici dell’oggi guardando alla prospettiva che sta di fronte a noi. Naturalmente bisogna essere tutti consapevoli che l’operazione politica avviata dal Manifesto per un soggetto politico nuovo non può ignorare la scadenza delle prossime elezioni politiche. E per tante ragioni. È del tutto legittimo, anzi auspicabile, che le forze che hanno dato impulso alla battaglia referendaria del giugno scorso e quelle che hanno costituito la punta di diamante di tante esperienze amministrative, a partire da Milano e Napoli, cerchino di rappresentare le loro esperienze nel prossimo Parlamento. Inoltre, un’iniziativa che si propone di mettere in campo una nuova soggettività  e ambisce a cambiare la politica nel nostro Paese se dovesse mancare all’appuntamento, per tanti aspetti decisivo, delle prossime elezioni politiche abortirebbe sul nascere. L’onere di evitare che questo si trasformi nell’ennesima lista a sinistra, in un’ulteriore fattore della sua frantumazione, non è solo dei firmatari del Manifesto. Né del resto avrebbero il potere di farlo. È un problema che riguarda tutti. Da questo punto di vista l’intervento di Paolo Ferrero mi sembra un contributo importante, che va accolto con favore. Anche se resta aperto, a mio parere, il problema della sua indisponibilità  a concorrere alla costruzione di un’alternativa di governo, e quindi alla costruzione di un nuovo centrosinistra. Dobbiamo tutti liberarci dal fantasma della Sinistra l’Arcobaleno e capire, una volta per tutte, che la causa di quella cocente sconfitta non è stata la raggiunta unità  ma tante altre ragioni che oggi sarebbe inutile e anche ingeneroso riesumare. È ovvio che i partiti debbono saper fare un passo indietro e concorrere all’affermazione di procedure rigorosamente democratiche e partecipative nella formulazione dei programmi e nella formazione delle liste. Non è un’impresa semplice. E l’incalzare della crisi economica e sociale e i pericoli di collasso del sistema democratico, a differenza di quanto qualcuno crede, non sono opportunità  ma insidie che rendono meno agevole il percorso. Mai come oggi, a sinistra, ci sarebbe bisogno di lungimiranza e disinteresse. Ho fiducia che sapremo trovarli entrambi.


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