Nucleare iraniano I mullah riaprono il tavolo dei negoziati

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GERUSALEMME — Parlarsi, è già  qualcosa. Vendere il tappeto, un’altra cosa. «Avete presente il suk?», racconta uno sherpa della diplomazia europea: «Il buon risultato è che il cliente sia finalmente entrato nella bottega. Si sia seduto. E abbia cominciato a guardarci in faccia…». Non per niente, ieri si sono trovati di nuovo al gran bazar d’Istanbul: quindici mesi dopo il disastroso vertice 2011, quando gl’iraniani rifiutarono quasi d’affrontare l’argomento, stavolta la delegazione di Teheran ha sfoderato i sorrisi. «Il loro negoziatore, Said Jalili, s’è presentato calmo e costruttivo ed è entrato subito in argomento — descriveva all’ora di pranzo il portavoce europeo, Michael Mann —. C’è stato qualche momento di confronto, anche teso. Ma è stato un buon mattino, con un’atmosfera positiva, completamente diversa. Nel pomeriggio, chissà , magari faranno un passo indietro…».
Non l’hanno fatto. Né indietro, né avanti. E così il primo round di colloqui sul nucleare ha portato all’unico risultato «utile e costruttivo» (aggettivi di Catherine Ashton, coordinatrice estera Ue) di fissarne un secondo: il 23 maggio, a Bagdad, perché Istanbul piace poco a Sarkozy — in maretta coi turchi dopo le polemiche sul genocidio armeno — e agl’israeliani, che non vogliono regalare la ribalta all’ex amico Erdogan. A un certo punto del pomeriggio, convinti gli ayatollah a entrare «nella bottega», le potenze del gruppo 5+1 hanno tentato il colpaccio storico: organizzare un faccia a faccia Usa-Iran, il primo dai tempi dello Scià . C’è stato fermento, quando un’agenzia persiana ha risposto con un mezzo sì e, subito dopo, altre due agenzie hanno troncato con un deciso no: parlarsi va bene, ma non sarà  attraverso la delegata americana Wendy Sherman che s’aprirà  una nuova pagina di relazioni col Grande Satana… «Un primo passo positivo» ha commentato in serata la Casa Bianca.
Eccitazioni diplomatiche a parte, i risultati veri stanno a zero. Nemmeno il secondo round iracheno ne darà , probabilmente. E un terzo potrebbe arrivare tardi, se è vero che gl’israeliani — scrive un analista militare di Tel Aviv — sono già  pronti a un attacco militare in ottobre. La strategia iraniana, fra Khamenei che lancia fatwe contro la Bomba e Ahmadinejad che promette la «difesa dei nostri diritti nucleari», resta imperscrutabile. Nessuna disponibilità  a fermare l’arricchimento d’uranio al 20%, accettando le ispezioni internazionali. Le «nuove iniziative» promesse alla vigilia s’esauriscono nei sorrisi e nella richiesta, ripetuta da Jalili, di «levare già  dalla riunione di Bagdad le sanzioni internazionali»: sei risoluzioni Onu di condanna, l’embargo commerciale dal 2010 e quello finanziario d’un mese fa, il blocco petrolifero senza precedenti che partirà  dal 1° luglio, tutto questo ha solo ammorbidito i toni di Teheran. Ma Israele è stato chiaro con Obama e i sei gendarmi nucleari mondiali: bisogna distruggere tutto l’uranio arricchito, sia al 20% che al 3,5 e ai livelli inferiori. Il premier Bibi Netanyahu è disposto a lasciarne a Teheran solo qualche kg, per uso civile. E in risposta a chi — lo scrittore Gà¼nter Grass — equipara l’atomica israeliana a quella iraniana, ha aperto a Gerusalemme un negoziato segreto per una possibile (clamorosa) adesione nel 2013 al Trattato di non proliferazione nucleare, dispiegando intanto nuove batterie di Patriot sul Carmelo. «Bibi ha capito che minacciare sempre l’attacco fa alzare il prezzo del petrolio, arricchire gli ayatollah e odiare Israele — analizza l’editorialista Nahum Barnea —. Ora si prepara in silenzio. E aspetta che questi colloqui portino al nulla che s’aspetta».


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