Pensione tagliata di duecento euro Si getta dal balcone

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GELA (Caltanissetta) — La parola «ricalcolo» se la fece ripetere tante volte Nonna Nunzia quando le dissero che, morto il marito, le sarebbe spettata una pensione di 786 euro. «E come campo io?», interrogava guardando il maschio di casa, il figlio Bruno, 41, più piccolo delle tre sorelle sposate. «Vostro padre di più pigliava, non ci arrivo con tutti questi aumenti e queste tasse». E loro a calmarla, a cercare di tranquillizzarla. 
«Lo capite che lo Stato ora vuole pure la tassa sulla prima casa?», domandava con l’ansia montata davanti alla tv per le notizie su Ici, Imu e così via. Quando le dissero che si trattava di un ricalcolo provvisorio della pensione sperò che almeno non la riducessero ancora. Ma lunedì la sorpresa nella sua modesta casa di cinquanta metri quadri al piano terra di una palazzina scrostata a due passi dal vecchio cimitero di Gela. L’assegno s’era prosciugato ad appena 600 euro.
E lei, a 78 anni, fatti e rifatti su un quaderno i conti delle bollette per luce, acqua e telefono, di bombola, panettiere, salumiere e così via, dopo una notte di angoscia, alle dieci del mattino è salita su per le scale dello stesso edificio dove su tre piani senza intonaco abitano due delle figlie con le loro famiglie e, raggiunto a fatica il lastrico, ha chiuso la sua vita con un volo di dodici metri che sembra una ribellione, con un tonfo che diventa atto d’accusa.
No, non era depressa Nonna Nunzia, come grida il figlio, Bruno Marsana, la notte al lavoro nella sua pizzeria di via Pitagora, ieri mattina alle nove al telefono con la madre in lacrime: «Sono diventata più povera di com’ero, mi ripeteva e io che le dicevo che ci avremmo pensato noi figli a darle una mano…».
Avevano già  contattato un amico che lavora in un patronato la figlia infermiera, l’altra con un panificio in centro e la terza sposata con un carabiniere. «Ci penseranno al Caf a fare giustizia», dicevano a questa madre intristita da quando, il 26 marzo dell’anno scorso, la lasciò il marito, Giuseppe, morto a 82 anni, dopo 60 di matrimonio, invalido al cento per cento con diritto all’accompagnamento. Più di 500 euro al mese. Una voce azzerata. Di qui la somma di 786 euro raggiunta nel primo conteggio sommando la cosiddetta «reversibilità » del marito al minimo già  riscosso dalla signora Nunzia, appena 350 euro. Poi, lunedì, la botta del taglio a 600 euro, tutto compreso.
«Sapeva del ricorso che avremmo presentato, ma non ce ne ha dato il tempo, soffocata dalla paura di questo Stato che ti mette le mani in tasca, che t’affama. Lo stesso Stato che per sei mesi non scucì un centesimo lasciando una vedova senza assegno», borbotta Marsana pronto a denunciare chi parla di depressione. «L’unico malanno che aveva mia madre era quello della schiena, dei dolori alle ossa, dello schiacciamento di tre vertebre e per questo l’accompagnavo dall’ortopedico ad Augusta, ma era più lucida e presente di tutti noi messi insieme. Così dico che l’ha ammazzata lo Stato. Come succede a quelli che si danno fuoco davanti all’Agenzia delle entrate o al collocamento», insiste questo figlio che racconta la disperazione dilagante: «Io vedo ogni notte, a fine lavoro, tanta gente, tanti vecchi chini a raccogliere i resti dai cassonetti dell’immondizia, a cercare cibo e vestiti».
La madre non sarebbe certo arrivata a questo punto, ma l’ansia delle notizie sulla crisi, sui licenziamenti, sui tagli a salari e pensioni ha fatto il resto. E anche su questo Marsana dà  la sua interpretazione: «Il governo ci sta facendo diventare tutti più poveri, ma non tutti sono poveri perché i signori non li toccano, al contrario di noi operai e piccoli commercianti pieni di debiti, di rate da pagare, di bollette sempre più care…». Uno sfogo che diventa un coro nella veglia di una Gela a lutto.


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