“Fermando le rinnovabili rischiamo l’autogol e non tagliamo i prezzi”

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ROMA – «Mettere in contrapposizione la riduzione della bolletta energetica e il sostegno alle fonti rinnovabili, come ha fatto recentemente l’Autorità  per l’energia,è un errore strategico. Rischieremmo di uscire dal settore delle rinnovabili mortificando la capacità  innovativa del Paese, penalizzando l’industria nazionale, aumentando la disoccupazione: sarebbe come abbandonare la telefonia negli anni Ottanta, prima del boom. Possiamo invece spingere sul pedale dell’efficienza e delle energie pulite e contemporaneamente alleggerire il costo delle bollette». E’ netta la risposta del ministro dell’Ambiente Corrado Clini all’affondo, lanciato da più parti, contro le rinnovabili.

Eppure le critiche muovono da un tema molto popolare: il prezzo dell’elettricità  e quello della benzina continuano a crescere, gli stipendi restano al palo o si riducono.

«E’ una preoccupazione che condivido al cento per cento. E proprio per questo è importante non sbagliare l’intervento correttivo inseguendo falsi bersagli.

Dare la colpa del costo anomalo dell’energia in Italia alle rinnovabili e al fotovoltaico vuol dire operare una distorsione della realtà  ignorando i danni prodotti dalla rigidità  del sistema. La nostra competitività  è legata alla capacità  di essere protagonisti del passaggio da un sistema elettrico composto da poche grandi centrali a un sistema molto articolato che alimenti le reti intelligenti e le smart city».

Il picco raggiunto dagli incentivi al fotovoltaico con il decreto salva Alcoa ha però contribuito a squilibrare il mercato.

«Proprio così. Quello è stato un errore: non ha salvato l’Alcoa, come le cronache di questi giorni mostrano, e ha concentrato la crescita del fotovoltaico in un periodo troppo breve. Oggi però abbiamo raddrizzato al situazione e stiamo pilotando gli incentivi verso una decrescita che non affondi il settore».

Perché allora una levata di scudi così brusca? «La dichiarazione del presidente dell’Enel rivela una sofferenza che deriva dall’eccesso di produzione elettrica. Sono state concesse molte autorizzazioni per le centrali convenzionali, poi c’è stata la spinta delle rinnovabili, infine la crisi ha fatto diminuire la domanda. Il mercato è saturo e non oso pensare a cosa sarebbe successo se fosse andato in porto il progetto di costruire centrali nucleari per aggiungere un altro 25 per cento di produzione elettrica». Dunque bisogna tagliare e c’è chi vuole tagliare le rinnovabili.

«Chi ha in mente una strategia del genere non tiene conto di tre fattori fondamentali: le direttive europee che dobbiamo rispettare pena sanzioni; l’orientamento del mercato internazionale che nel 2011 ha investito nelle rinnovabili 260 miliardi di dollari; i benefici che derivano alle casse pubbliche proprio dallo sviluppo dell’energia pulita. Non si possono sottolineare i costi delle rinnovabili e ignorare i vantaggi in termini di incremento del prodotto lordo, aumento del gettito fiscale, diminuzione del picco diurno della domanda, maggiore occupazione, miglioramento della bilancia commerciale».

Il disavanzo per l’acquisto di combustibili è sempre più alto: ha superato i 60 miliardi di euro l’anno e tende a crescere. Si tratta di una cifra analoga a quella che paghiamo per gli interessi sul debito.

«La sua diminuzione è uno dei benefici conteggiati da varie ricerche, anche dell’università  Bocconi, che valutano in alcune decine di miliardi i vantaggi che le rinnovabili possono assicurare al nostro Paese da oggi al 2030».

Ma come si fa conciliare questa strategia con la riduzione delle bollette? «Innanzitutto bisogna pulire le bollette eliminando gli oneri impropri. Continuiamo a pagare per il Cip 6, per il nucleare, per gli sconti concessi alle grandi industrie energivore come le acciaierie. E poi bisogna trovare altri canali per finanziare la fase finale del decollo delle fonti rinnovabili».

Ad esempio? «Il sistema di incentivi dovrebbe essere collegato al vantaggio prodotto in termini di miglioramento della bilancia commerciale. Inoltre nello schema di riforma fiscale messoa punto dal governo c’è una carbon tax, cioè un’imposta sulle emissioni di anidride carbonica, inserita in un percorso che serve ad alleggerire il carico di tasse sul lavoro. Servirà  a dare ossigeno all’economia: è quello di cui oggi abbiamo bisogno».


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