“L’Europa soffre di troppa austerità ripresa solo con l’aumento della spesa”
Il Nobel Joseph Stiglitz mette in guardia sulla tendenza prevalente a imporre misure di austerità : i governi potrebbero così stare conducendo l’Europa verso una crisi ancora più profonda.
Professor Stiglitz, non la si può certo tacciare di ottimismo.
«Perché dice così? Sono una persona molto positiva» Le sue previsioni tradiscono un certo scetticismo. L’unico aspetto positivo del 2011, lei spiega, è che è stato migliore rispetto a ciò che ci riserva il 2012. Dobbiamo ancora gli effetti perversi della crisi globale? «L’economia del mondo ha di fronte una serie di pericoli, in ogni caso. È l’Europa a preoccuparmi di più. La maggior parte dei governi ha adottato politiche di austerità ma ciò rafforza l’andamento negativo dell’economia. L’Europa è sotto la minaccia di una seconda recessione che potrebbe arrivare anche presto. I prossimi anni saranno veramente difficili, mentre a lungo termine, il futuro del continente è molto buono».
Lei ha criticato duramente la gestione europea della crisi. Pensa davvero che i capi di governo e di Stato si siano comportati in modo così stupido? «I leader politici europei hanno concentrato tutte le loro energie nello spingere il Sud dell’Europa a risparmiare e a realizzare le riforme. Le democrazie sopportano però senza conseguenze tagli e austerità solo in misura limitata. La luce in fondo al tunnel non si è ancora vista e la rabbia e l’insoddisfazione continueranno pertanto a salire. A causa della recessione, innanzitutto, perché in un’economia in ribasso il gettito fiscale si contrae rispetto alle previsioni, mentre aumenta la spesa sociale: così è inevitabile che si continuino a mancare gli obiettivi di risparmio» Questo è il motivo per il quale Bruxelles continua a sollecitare tagli ancora più drastici. È un errore? «È un andamento insostenibile. Nel mondo non c’è un precedente che dimostri che la riduzione dei salari, delle pensioni e dei servizi sociali possa dare sollievo a un paese malato. Le probabilità che ulteriori tagli risolvano i problemi sono vicine allo zero.
Paesi come la Grecia e il Portogallo hanno bisogno di nuove prospettive di crescita credibili. I politici lo sanno bene, ma finora non hanno fatto niente per correggere questa situazione».
Che cosa dovrebbe succedere? «Quando si attraversano momenti difficili, i governi non dovrebbero contrarre la spesa dello Stato, ma aumentarla. Il deficit di bilancio non si espande necessariamente se al tempo stesso si aumentano le tasse. In questo modo la economia può moltiplicarsi rispetto alle risorse allocate.
Penso, per esempio, all’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, del tipo di quella attualmente in discussione in Germania e in altri paesi. Le banche potrebbero così incrementare il credito fornito alle piccole e alle medie imprese. Molte banche si mostrano restie a farlo, nonostante la Banca centrale europea abbia fornito loro abbondante liquidità » Considerando, per esempio, l’insistenza della cancelliera tedesca Angela Merkel per politiche di austerità ancora più severe, crede veramente che la politica europea sia pronta a imboccare un tale corso? «I leader politici devono riconoscere che quella imboccata è una strada sbagliata. Una overdose di risparmio non può che peggiorare la situazione. Tutto ciò ricorda un po’ il Medioevo: quando il paziente moriva si diceva che il medico aveva interrotto troppo presto il salasso, che il paziente aveva in sé ancora troppo sangue. Con questa cura sono stati trattati per decenni molti paesi emergenti iperindebitati, e spesso la cura è stata letale. Ora sussiste il pericolo che in Europa si ripeta qualcosa di analogo» Dove è ancora troppo alto l’indebitamento? «In Grecia, ovviamente. Probabilmente anche in Portogallo. E in Irlanda. Il caso irlandese è particolarmente triste, perché il paese non paga soltanto le conseguenze di una spesa enorme dello Stato. In Irlanda sono state le banche a dare origine alla crisi, non lo Stato del welfare. Salvare gli istituti finanziari in sofferenza a spese dei contribuenti è stato un errore catastrofico, che ha portato lo Stato sull’orlo del fallimento» Molti ritengono che aumentando il proprio indebitamento per combattere la crisi, oggi l’Europa stia commettendo lo stesso errore dell’Irlanda quando ha salvato le banche: c’è il rischio che l’enorme quantità di aiuti elargiti metta alla fine in pericolo il salvatore? «Questo timore è esagerato, e tuttavia sono d’accordo che nel caso di certi paesi la strada corretta sarebbe stata procedere prima a una ristrutturazione del debito, invece di concedere subito gli aiuti.
Nel caso della Grecia, la riduzione del debito è stata purtroppo troppo contenuta. Ha prevalso la paura del default. La bancarotta, però, anche quella degli Stati, è parte integrante del capitalismo moderno.
Si sarebbe dovuto permetterla. È stato proprio il tentativo di evitare la bancarotta a diventare un grande problema per l’Europa. Sempre di più diventa evidente che nonostante tutta la consapevolezza sulla necessità di preservare l’euro, i politici non sappiano bene quali siano le misure che occorrono per far sopravvivere la moneta comune» Di che cosa soffre l’euro? «Quando si è introdotto l’euro, la convinzione generaleè stata che per la sua tenuta sarebbe bastata la disciplina di bilancio, ma non è così.
Prima della crisi, Irlanda e Spagna presentavano un surplus di bilancio e un indebitamento contenuto.
Quello che manca è uno strumento per manovrare contro la crisi. L’area avrebbe bisogno di un organismo per il bilancio in grado di riequilibrare le differenze tra la forza economica delle varie regioni. Un tale organismo potrebbe, per esempio, fornire mezzi supplementari ai paesi con una disoccupazione alta. Intendo proprio un’unione che preveda dei trasferimenti interregionali, la cosiddetta Transferunion tanto odiata dai tedeschi» Copyright Sà¼ddeutsche Zeitung, 2012.
*Traduzione di Guiomar Parada
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