Rabbia anti-saudita al Cairo

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Tacciono sul caso Gizawy i salafiti egiziani, che ricevono generose donazioni dall’Arabia saudita. È crisi aperta tra il Cairo e Riyadh sul caso di Ahmad al Gizawi, l’attivista dei diritti umani egiziano arrestato e incarcerato nelle scorse settimane al suo arrivo a Gedda. In reazione alle continue manifestazioni di protesta davanti all’ambasciata saudita al Cairo, ieri le autorità  di Riyadh hanno annunciato la chiusura delle sue sedi diplomatiche, facendo riferimento ad una presunta violazione della sovranità  saudita in Egitto. Da giorni centinaia di dimostranti, in prevalenza giovani del movimento «6 Aprile» e militanti dei «Socialisti Rivoluzionari», si radunano davanti all’ambasciata saudita per scandire slogan contro re Abdallah. Secondo Riyadh si sarebbero verificati «tentativi di assalto» con rischi per la sicurezza dei suoi funzionari. È difficile quantificare le conseguenze politiche ed economiche della decisione presa dai sauditi. Di recente i regnanti Saud hanno approvato aiuti e investimenti in Egitto per molti milioni di dollari che il Cairo non intende perdere. Allo stesso tempo le autorità  egiziane non possono non tenere conto dello sdegno provocato dall’arresto di Gizawy, punito, dicono i dimostranti, perché si batte per i diritti dei cittadini egiziani rinchiusi nelle carceri della monarchia del Golfo. L’attivista lo scorso anno aveva rivolto accuse pesanti alle autorità  saudite durante una trasmissione televisiva, generando già  in quell’occasione le reazioni irritate di Riyadh. Il suo arresto è avvenuto al suo arrivo all’aeroporto di Gedda, da dove avrebbe dovuto proseguire assieme alla moglie per la Mecca dove intendeva compiere l’ omra (il piccolo pellegrinaggio). I sauditi sostengono di averlo trovato in possesso di una ingente quantità  di stupefacenti e lo hanno condannato a un anno di detenzione e a venti frustate. Per gli egiziani si tratta di accuse fabbricate allo scopo di punire Gizawy per le forti critiche che ha rivolto ai regnanti Saud. 


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