Sostiene Tabucchi

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Sarà  stata l’una di notte. Per oggi può bastare, ha detto (stavamo lavorando da orea un suo libro di viaggi). Mi aspettavo un congedo,e invece: adesso parliamo. Che desideri hai, cos’è che ti aspetti?, chiedeva. Non era facile rispondergli, balbettavo qualcosa, intanto mi aveva costrettoa farmi quelle domande. La mattina trovavo la colazione pronta sul tavolo, la preparava all’alba, quando finalmente lui andava a dormire. Una volta, accanto al posacenere c’era un post-it con scritto: «Dov’è Céline?». Lì per lì mi era sembrata un’invocazione. In realtà , era per ricordarsi di cercarei libri dello scrittore francese (erano nella biblioteca di Vecchiano? Oppure a Parigi, o a Lisbona?).

Anchei libri di Antonio Tabucchi erano spesso in viaggio. A volte mi chiedeva di mettermi alla ricerca di un volume in particolare, era preso come dall’urgenza di leggere quella frase che non era sicuro di ricordare bene. Gliela portavo, mentre cucinava o fumava sfogliando il giornale. Vedi? Me la ricordavo bene.

Sono l’ultimo che dovrebbe raccontare aneddoti, la nostra è una delle sue amicizie più recenti. Però questi anni, che brutalmente avrei scoperto essere i suoi ultimi, sono stati intensi. L’avevo avvicinato – o dovrei dire stanato – come si avvicinano gli autori che ci hanno spintoa tentare la scrittura. Credevo che tutto si sarebbe limitato a quel caffè al boulevard Saint-Germain, in un gennaio gelido – e invece sono arrivati altri caffè, cene in ristoranti thailandesi o cucinate da lui, affollate di amici internazionali, con la musica (canzoni portoghesi o napoletane) e l’aria condizionata a temperature polari, a volte perfino goliardiche. Telefonate a orari improbabili: con lui che poteva infuriarsi per una nevicata al posto sbagliato in un romanzo e diventare brusco e severissimo per imprecisioni o disattenzioni. Era imprevedibile. Poteva arrabbiarsi parecchio e un attimo dopo tornare con lo champagne. Dire frasi dure, poi cancellarle con gesti incredibilmente generosi. Una sera mi ha detto che doveva assolutamente parlarmi di una pagina di Hannah Arendt dedicata a Walter Benjamin, me l’ha letta, era sul “gobbetto” di una filastrocca infantile che tornava come un’ombra nella vita sfortunata di Benjamin. Da lì stava nascendo il libro che non ha fatto in tempo a scrivere.

«A me piacerebbe scrivere un “romanzo” con te fatto di sms (veri e falsi) sull’Italia di ieri e di oggi. Sarebbe una novità  anche stilisticamente», mi ha detto in un messaggio del tutto inatteso nell’agosto scorso.

Avrebbe aggiunto che i quarant’anni esatti di differenza tra me e lui sono un bel pezzo di tempo e che potevamo cavarne qualcosa di interessante. Conserva tutto, mi ha detto, e intanto gli sms diventavano email. Alcune sono quelle riportate in queste pagine, dall’agosto al settembre 2011. C’è molto disordine, ma anche molta vita, le sue giornate, i suoi pensieri, le malinconie e l’ironia tagliente anche verso se stesso. Dammi notizie, chiedeva di continuo, ci sono novidades? Voleva sapere di tutto; poi diventava cupo parlando dei fatti italiani, le «fognature italiche», come diceva lui. Non so se avremmo scritto davvero questo libro di «lettere dalla stessa stanza», ma è stato bello anche solo averci pensato. «La vita non è in ordine alfabetico come credete voi. Appare… un po’ qua e un po’ là , come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle dopo» sostiene il personaggio di un suo romanzo, quel Tristano che sceglie il luogo per morire e il giorno (domenica, come il suo autore). La vita passa in un soffio, ripete. Sì, ne parleremo nella prossima lettera, avrei da dirti molte cose; «e ti direi anche che ti aspetto, anche se non si aspetta chi non può tornare».


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