Stipendi al palo, mai così male dall’83

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ROMA – La crisi, per i lavoratori italiani, è nello scarto tra due velocità . Quella degli stipendi, congelati come mai era successo negli ultimi trent’anni. E quella dei prezzi che continuano a crescere a passo sostenuto. Gli stessi soldi per comprare più caro, il risultato è l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie. La più marcata dal 1995 ad oggi, secondo i dati presentati ieri dall’Istat. Perché a marzo le retribuzioni orarie sono cresciute appena dell’1,2%. E con l’inflazione stimata al 3,3%, la forbice con i prezzi ha raggiunto i 2,1 punti. Non succedeva da 17 anni: «Una famiglia di due persone si ritrova, da un anno all’altro, con circa 610 euro in meno da spendere», spiega il Codacons, che ha provato a tradurre i dati in soldoni. «Un nucleo di tre persone ne ha persi 720. Si tratta di una specie di tassa invisibile che dissangua sempre di più i cittadini». Non solo una pressione fiscale in aumento dunque, a pesare sull’economia degli italiani è anche l’andamento dei salari. Di fatto bloccati nella prima parte dell’anno, secondo l’Istat: tra febbraio e marzo, per ora lavorata, non sono aumentati neppure di un centesimo. Il dato sui dodici mesi è positivo, ma appena dell’1,2%. Si tratta del valore più basso almeno dal 1983, da quando cioè l’Istituto ha cominciato la serie storica delle rilevazioni.
Non in tutti i settori le cose vanno altrettanto male. Dal dossier dell’Istat emerge che per i lavoratori del privato le retribuzioni orarie sono aumentate dell’1,7%, più della media. Chi ha un impiego nell’industria le ha viste crescere in un anno del 2,3%, con alcuni comparti, come il tessile e la chimica, vicini al 3, quasi al pari con l’inflazione. Discorso molto diverso per gli agricoltori, per i quali la cifra percepita a marzo 2012 è stata identica a quella del 2011. Crescita zero, così come per i dipendenti statali. Sono loro la categoria più penalizzata, anche a causa del blocco dei contratti della pubblica amministrazione previsto dalla manovra del 2010. L’andamento dei loro stipendi è piatto già  da novembre dello scorso anno. E per tutto il 2012, prevede l’Istat, il trend non cambierà . Sulla base degli accordi collettivi in vigore, l’Istituto stima una crescita media dei salari dell’1,4%. Con agricoltura e statali sempre fermi a quota zero.
Qualche adeguamento salariale potrebbe arrivare con i rinnovi contrattuali. Non fosse che in Italia trovare un’intesa è missione sempre più lunga e difficile. A fine marzo quasi un lavoratore su tre era in attesa di una firma: 36 categorie in tutto con 4,3 milioni di persone interessate. Ma mentre nel privato questa condizione riguarda solo il 12,3% dei lavoratori, con una copertura quasi totale per agricoltori e operai, sono ancora una volta i dipendenti statali ad essere più esposti. Per legge, sempre la manovra del 2010, che ha bloccato i rinnovi nel pubblico fino al 2012. Così oggi l’intero settore è scoperto, circa 3 milioni di persone. E questo fa impennare il tempo medio richiesto in Italia per rinnovare gli accordi, voce che l’Istat chiama “tensione contrattuale”. Nel 2011 i mesi dalla scadenza al rinnovo erano 15,2: sono quasi raddoppiati a marzo 2012, diventando 27. In questo caso, senza grandi differenze tra lavoratori del pubblico e del privato.


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