Un villaggio attrezzato tra gli aerei

by Editore | 27 Aprile 2012 7:50

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Oltre ad essere un luogo «inidoneo ad ospitare un insediamento umano» a causa della vicinanza all’aeroporto di Ciampino – il campo si trova proprio nel cono di volo degli aerei – con conseguente inquinamento acustico ed atmosferico a danno dei futuri residenti, secondo le associazioni il “villaggio attrezzato” La Barbuta «deve considerarsi discriminatorio, e dunque illegittimo, già  per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico». A dare fondamento alla denuncia delle due associazioni un lungo elenco di norme, leggi, direttive nazionali e comunitarie in materia di discriminazione razziale e di diritto a un alloggio, tra le quali la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La sentenza potrebbe costituire un ennesimo ostacolo per il Piano Nomadi del sindaco Alemanno. Qualora il giudice dia ragione alle due associazioni, il Comune di Roma dovrà  rinunciare definitivamente all’apertura del campo al confine con il comune di Ciampino, già  congelata insieme all’applicazione dell’intero Piano Nomadi capitolino dalla sentenza del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011 – sulla quale pende un ricorso del governo Monti in Cassazione – che ha affermato l’illegittimità  del decreto del 21 maggio 2008 con il quale l’allora premier Berlusconi dichiarava l’emergenza nomadi in Lombardia, Lazio e Campania. 
«L’apertura del campo rom de La Barbuta sblocca tutto il Piano nomadi» ha affermato Alemanno a metà  del mese di aprile contestualmente alla richiesta al ministero degli Interni di accordare i pagamenti che solo il prefetto di Roma, nominato commissario con l’emergenza nomadi poi annullata dal Consiglio di Stato, avrebbe potuto autorizzare. In tutto 7 milioni di euro che solo in minima parte, circa 600 mila euro, sono già  stati versati alla società  costruttrice, la Ircop Costruzioni Generali spa. Costi che aumentano giorno dopo giorno a causa delle spese quotidiane di gestione e sorveglianza del campo vuoto a carico della Ircop che, come ci comunica la società , ne chiederà  conto. «Costi che potevano essere spesi per un percorso di reale inclusione e di diritto all’abitare per molte famiglie rom della Capitale» commenta Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio.
A osservarlo dall’esterno, il campo de La Barbuta si presenta come una grande isola di cemento e asfalto in mezzo ai prati recintata da grate di ferro e controllata a vista da telecamere di sorveglianza. Tanti piccoli container dipinti di giallo, dotati di pannelli solari, si ripetono identici alla stessa distanza di pochi metri uno dall’altro. Circa 150 case-container da 24, 32 e 40 mq a seconda se il nucleo familiare è di 4, 6 oppure 8 componenti, che verrà  abitato in tutto da circa 650 persone. Come si legge nella denuncia, l’area è «totalmente priva di servizi, negozi, attività  pubbliche o private di qualsivoglia tipologia, mezzi pubblici o abitazioni». Caratteristiche comuni a quasi tutti i campi della Capitale. Ma le politiche romane in tema di rom potrebbero non essere le sole a dover fare i conti con questa «azione civile contro la discriminazione»: «Le politiche dell’emergenza nomadi e dei campi rom infatti, come denunciato anche dal Comitato europeo dei diritti sociali (Ceds), sono attuate in tutta Italia e questa sentenza potrebbe costituire un importante precedente: dichiarare illegale l’insediamento La Barbuta equivarrebbe a riconoscere l’illegalità  di ogni campo nomadi presente sul territorio nazionale» commenta Stasolla. Del resto il superamento dei campi è contenuto anche nella Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei camminanti presentata il 28 febbraio 2012 dal governo italiano alla Commissione europea che ha prescritto a ogni stato membro di emanare nuove norme per l’integrazione. Ecrive l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale): «È un’esigenza sempre più sentita dalle stesse autorità  locali il superamento dei campi in quanto condizione fisica di isolamento che riduce le possibilità  di inclusione sociale ed economica delle comunità  rom, sinti e camminanti».

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