Anche la Serbia vota La crisi economica conta più del Kosovo

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Elezioni generali in Serbia, la sfida per la presidenza tra il democratico Tadic e il nazionalista moderato Nikolic. Votano anche i serbi del Kosovo, la Nato ha inviato rinforzi. Appello alla calma del segretario Rasmussen

Sulla carta il vincitore non può che essere Boris Tadic, il democratico pacato che ha traghettato Belgrado dalle secche del nazionalismo alle porte dell’Europa: nel marzo scorso la Serbia ha ottenuto finalmente lo status di Paese candidato all’ingresso nella Ue, dopo aver pagato il conto del suo passato con l’arresto dei criminali di guerra Radovan Karadzic, il generale Ratko Mladic e da ultimo Goran Hadzic. In prospettiva investimenti europei, nuovi mercati, più lavoro. Nella realtà  quell’Europa tanto attesa da quello che Slovenia esclusa è sempre stato il più europeo dei Paesi balcanici oggi non ha più lo stesso appeal di una volta. E al voto di oggi Tadic e il suo partito democratico (centro sinistra, affiliato a livello europeo al partito socialista) non hanno certezze definitive.
Elezioni generali in Serbia, presidenziali, politiche e amministrative accorpate per ragioni di cassa oltre che politiche. Dodici candidati in gara per la presidenza, ma la sfida vera si riduce al duello tra Tadic e il nazionalista moderato Tomislav Nikolic, ex braccio destro di Voijslav Seselj, già  leader del partito radicale serbo oggi agli arresti per crimini di guerra. Tra i due il primo è in vantaggio nei sondaggi 36 a 35 secondo le ultime rilevazioni non abbastanza da evitare il secondo turno il prossimo 20 maggio. Ma il partito del progresso serbo di Nikolic, nato da una costola dell’ultra-nazionalista partito radicale e convertitosi all’idea di una Serbia europea, è invece il favorito alle elezioni politiche (33%) grazie anche ad una campagna elettorale giocata tutta sull’incapacità  del governo attuale democratici e socialisti di far fronte alla crisi. Vittoria di posizione, ma non necessariamente di sostanza, la sua.
Difficilmente Nikolic riuscirà  a trovare alleati per governare, mentre il partito democratico potrebbe rinnovare l’alleanza con i socialisti.
«Coloro che ci hanno fatto vergognare» in passato, ha detto il presidente uscente durante un comizio elettorale, non dovrebbero poter governare. Affondo facile facile vista la contiguità  tra Seselj e Nikolic. Il punto vero però è che il solido aggancio europeo garantito dal partito democratico non è più sufficiente: colpa della crisi che scuote alle radici la costruzione europea, ma anche del fatto che la Ue finora è stata percepita solo un insieme di condizioni, senza reali benefici. È dal 2000 che Belgrado resta alla porta e ora che si trova ad un passo l’immagine dell’Europa è più sbiadita che mai.
RINFORZI NATO IN KOSOVO
La campagna elettorale di Tadic ha battuto comunque sul tema dell’integrazione europea, come tappa indispensabile per la crescita della Serbia. Nikolic ha puntato soprattutto sulla necessità  di migliorare le condizioni di vita dei cittadini, in un Paese dove la disoccupazione è arrivata al 24%, l’inflazione all’11 e lo stipendio medio non supera i 300 euro al mese.
Più in sordina l’eterno dossier del Kosovo, entrato solo marginalmente nella campagna elettorale ma non per questo meno caldo. Tadic, che pure ha ottenuto di far partecipare a politiche presidenziali anche i cittadini serbi del Kosovo, ha detto a chiare lettere che intende sostenere una soluzione pacifica. «Non penso che il Kosovo sia il cuore della Serbia. Ma non permetto che lo calpestino», ha detto Tadic, parole che in altri tempi sarebbero suonate eretiche. Al contrario Nikolic, solo fino a poco tempo fa incline a fare della Serbia una regione russa, ha detto che di fronte alla prospettiva di entrare nella Ue senza Kosovo «risponderemo, no grazie». Il voto di oggi è visto comunque come una sfida dalle autorità  di Pristina. La Nato ha inviato rinforzi, appello alla calma del segretario Rasmussen. Belgrado incrocia le dita.


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