Appello a Mano Dura Cessi l’assedio a comunità  indigene

by Editore | 10 Maggio 2012 9:10

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Per Molina – un ex-militare dal passato torbido, soprannominato «Mano dura» – si è trattato di una vicenda legata al narcotraffico: violenze da contenere con una misura d’eccezione come lo stato d’assedio, decretato per un mese, e con 21 mandati d’arresto contro i presunti responsabili, che il presidente ha immediatamente sollecitato. 
Gli attivisti, che fanno parte della Coordinacion y Convergencia Nacional Maya Waqib Key, sostengono una ben diversa versione dei fatti. La rabbia della popolazione locale sarebbe esplosa dopo l’omicidio di un leader contadino, Andrés Francisco Miguel, ad opera delle guardie private dell’impresa idroelettrica Hidro Santa Cruz, filiale della spagnola Hidralia Energia S.p.a., accusata di devastare i territori e di espellere la popolazione locale. L’impresa ha ottenuto le autorizzazioni nel 2009, ma ha cominciato a realizzare il progetto «Cambalam» nel gennaio scorso: su un’area sacra per i nativi e di uso agricolo, ricca di acqua. Nel 2011, le comunità  – a cui spetta per legge il diritto a essere consultate – hanno respinto il progetto con un documento pubblico, ma i lavori sono comunque iniziati. 
Dopo l’omicidio del contadino, 300 persone armate di bastoni e machete hanno dato l’assalto alla caserma chiedendo giustizia. Poi, per sfuggire alla repressione, molti esponenti della comunità  sono fuggiti sulle montagne, mentre partivano i rastrellamenti indiscriminati. Secondo un gruppo di avvocati volontari, gli arrestati sono stati condotti nelle carceri comuni, dove la delinquenza organizzata ha già  cominciato a ricattare i famigliari in cambio dell’incolumità  dei congiunti detenuti. Per 15 contadini, l’accusa è di terrorismo, violazione di proprietà  privata e militare. 
Le organizzazioni esigono la sospensione delle attività  dell’idroelettrica, denunciano il diffondersi di situazioni analoghe in altre zone. Inoltre chiedono l’apertura di un dialogo per rispondere alle richieste delle popolazioni indigene che si oppongono alla distruzione delle loro risorse.
«Da tre mesi – ha detto al manifesto il vescovo guatemalteco Alvaro Ramazzini, eletto “testimone d’onore” nelle mediazioni fra comunità  e multinazionali – abbiamo aperto un tavolo di trattative con il governo su problemi strutturali». Ci sono state già  due riunioni, «per discutere della legge di sviluppo rurale, proporre una moratoria alle grandi imprese che estraggono oro e argento senza controllo e provocano l’espulsione dei contadini. E per chiedere la partenza dell’esercito dalle comunità  locali: molti contadini sono scomparsi, subiscono innumerevoli soprusi. Il presidente – ha detto ancora Ramazzini – ha sostenuto di essere contrario alla militarizzazione del paese e ha affermato di aver in programma una riforma dell’esercito e della polizia».
In questa circostanza, incontrando le organizzazioni contadine, Molina ha assicurato che i diritti umani verranno rispettati, ma ha ribadito che il governo non tollererà  che si violi la legge. I trascorsi del presidente – accusato dalle organizzazioni umanitarie di essere implicato nei massacri perpetrati dall’esercito durante la sanguinosa guerra civile non ispirano certo fiducia. Il suo governo è espressione di un intreccio di interessi fra i poteri forti del paese (legali e occulti) e il grande capitale internazionale. E intanto lo stato d’assedio permane. «Todos somos Barillas», dicono perciò le organizzazioni umanitarie, e lanciano una campagna di sostegno internazionale.

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