Atene, il voto che spaventa l’Europa nelle urne la rabbia contro i tagli

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ATENE – Tace, per prudenza, l’Oracolo di Delfi. Nemmeno le Cassandre, che pur da queste parti abbondano, si sbilanciano in previsioni. La Grecia va alle urne e l’Europa guarda con il fiato sospeso a un voto che – forse più di quello francese per l’Eliseo – rischia di condizionare il futuro del continente. «Vinceremo noi», dice convinta Viki Iatrou sventolando di fronte al Parlamento la bandiera bianco-giallo-verde del Pasok mentre il leader socialista Evangelis Venizelos, sotto la splendida luna piena del perigeo, lancia il suo ultimo appello elettorale.
Purtroppo per lei (e forse pure per l’Italia) non sarà  così. «L’unica certezza è che per la prima volta nella storia della nostra democrazia non ci sarà  un vincitore» ripete da giorni Costas Panagopoulos, numero uno di Alco, accreditato centro di sondaggi ellenico. E il timore di tutti è che questo risultato scateni un terremoto dalle conseguenze imprevedibili per l’euro. I numeri, alla vigilia dell’apertura dei seggi, annunciano tempesta: almeno otto partiti dovrebbero superare la soglia del 3% necessaria per entrare in Parlamento. Ma nessuno – malgrado i 50 seggi regalati a chi avrà  più voti – sarà  in grado di governare da solo.
«Queste elezioni rischiano di riportarci indietro di decenni» va giù piatto il numero uno della Banca di Grecia (e membro della Bce) George Provopoulos. Bruxelles sogna che il centrodestra di Nea Demokratia (Nd) e Pasok uniscano le forze in un governo di unità  nazionale in grado di rispettare gli impegni con la Ue («per me non arrivano nemmeno assieme a quota 151», dice scettico Dimitris Anastasopoulos, edicolante a Stadiou). I sondaggi però non escludono scenari da apocalisse finanziaria: una vittoria della divisissima sinistra – «il mio primo atto di governo sarà  rispedire al mittente il memorandum con Ue e Fmi» garantisce Alexis Tsipras, leader di Syriza – o uno stallo che porti a stretto giro di posta a una seconda tornata elettorale. Senza un governo eletto in tempi brevi (o con una maggioranza anti-euro) «la Trojka non avrebbe altra scelta che sospendere il pagamento degli aiuti ad Atene», dice Athanasios Vamvakidis, analista di Bank of America. E il risultato sarebbe l’ennesima tragedia greca: uscita dall’euro, ritorno alla dracma e drammatico effetto domino sui debiti dei paesi più fragili nella Ue, Italia e Spagna in testa.
Il pericolo è reale: «Ma perché dovrei votare Pasok e Nd che mi hanno tagliato lo stipendio del 25%, messo 400 euro di tasse sulla casa e tolto tredicesima e quattordicesima?», si scalda l’ex-elettore socialista Paniotis Stamati. Lui, come i suoi concittadini, ha ben chiara una cosa: se i due grandi partiti filo-Ue vincono le elezioni «a giugno arriverà  un’altra sberla»: leggi l’ennesima manovra – questa volta da 11 miliardi – promessa a Bruxelles per sbloccare le nuove tranche di aiuti.
Dove andrà  il voto di Paniotis? Come gli altri in fuga da Pasok e Nd, si disperderà  in mille rivoli verso gli estremi dello schieramento politico, tra partiti divisi su tutto e uniti solo da due cose: nessuno vuol governare con nessun altro (anche se tutti prenderanno tra il 4 e il 10% dei voti) e tutti vogliono cancellare o rinegoziare gli accordi con la Trojka. Ipotesi che fa tremare i polsi a Bruxelles e per cui «i mercati non sono preparati», come ammette Stephane Deo, analista del Credit Suisse.
«Il dramma è che in una situazione come questa il tema centrale della campagna elettorale è l’immigrazione. E che in Parlamento rischino di entrare i nazisti», dice sconsolato Manolis Glezos, l’89enne eroe della resistenza ellenica che nel 1941 si è arrampicato sull’Acropoli per ammainare la svastica e che oggi – capelli bianchi al vento – arringa la folla dal palco per provare senza troppo successo a riunire la sinistra locale. Tutta l’Europa, in tempi di crisi, è paese: i Veri Finlandesi hanno sfondato a Helsinki, Marine Le Pen ha preso il 17,9% nella corsa all’Eliseo. In Grecia vola nei sondaggi – si dice sia oltre il 5% – Chrysi Avgi (Alba d’oro) il partito di Nikos Michaloliakos che nella bandiera ha una svastica stilizzata e nel sobrio programma elettorale prevede la posa di mine anti-uomo al confine con la Turchia per fermare l’ingresso di clandestini nel paese (oggi sono un milione, il 10% della popolazione) e il no alle intese con la Ue «dove la Germania vuol ridurci a schiavi». 
«Il problema è che queste elezioni sono arrivate troppo presto – ammette Ioanna Katsios mentre ritira soldi al bancomat nel centro di Atene – . Le ferite dell’austerity sono ancora vive sulla pelle della gente». Il pil è calato del 13% in tre anni, 400mila bambini – dice l’Unicef – sono malnutriti, il 27,5% della popolazione è a rischio esclusione sociale, la disoccupazione è al 22,8% e 1.725 persone si son tolte la vita in tre anni. I timidi segnali di ripresa – i depositi bancari, crollati da 240 miliardi a 164 dall’inizio della crisi, sono risaliti per la prima volta a marzo – «non bastano ancora a convincere i greci che valesse la pena fare tanti sacrifici per rimanere in Europa». L’80% dei greci, dicono i sondaggi, vuol rimanere nell’euro. Ma se Atene dirà  “no” all’Europa nelle urne, dell’euro rischia di non rimanere nessuna traccia.


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