Attenti al mattone i prezzi vanno giù

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L’Imu, la stretta del credito bancario, le difficoltà  finanziarie attraversate da tanti gruppi immobiliari (Ipi, Aedes, ex-Pirelli RE, Zunino, Ligresti, Gabetti) fanno sorgere il dubbio che il mattone possa riservare brutte sorprese. Gli esperti del settore sono cauti circa le prospettive, ma ritengono che l’immobiliare in Italia non sia una possibile fonte di rischio sistemico. Tre le argomentazioni: i prezzi degli immobili sono saliti meno che altrove, e una bolla che non c’è non può scoppiare; anche se il mercato non tira, non si assisterà  a una forte caduta dei prezzi, perché sostenuti dalla preferenza degli italiani per il mattone (rapporto ricchezza immobiliare/Pil fra i più alti al mondo); e, al confronto con gli altri paesi, la leva è bassa. Dati indiscutibili, ma l’interpretazione è ottimistica e non mi convince.
Dal 1997, inizio della fase di rialzo in Italia, ai massimi, i prezzi dei nostri immobili, in termini reali, sono saliti del 70%. Meno che altrove: ai massimi, +330% in Spagna, +80% Usa, +100% Francia, +200% Gran Bretagna. Fa eccezione la Germania, dove sono scesi (indici Economist). Ma anche la successiva contrazione dal picco è stata molto più contenuta in Italia che altrove, (salvo la Francia), lasciando i prezzi del mattone in termini reali 40% più alti che a inizio euro; troppo. 
Stessa dinamica se si guarda al rapporto tra prezzi e affitti: in Italia la bolla si è gonfiata poco, ma si è anche sgonfiata molto lentamente, lasciando così le valutazioni elevate rispetto ai parametri storici. Inoltre, nel ciclo immobiliare, i prezzi, prima di risalire, scendono sotto le valutazioni di lungo periodo: è proprio la percezione di aver raggiunto “prezzi da saldo” che innesca la risalita. Siamo ancora lontani dai minimi.
La bassa leva in Italia spiega la lentezza dell’aggiustamento dei prezzi al ribasso (non si è costretti a vendere), ma non impedisce che scendano. Le compravendite sono crollate (-23% rispetto agli anni pre-crisi) e ci si aspetta un’ulteriore forte riduzione (inchiesta Banca d’Italia): ai prezzi richiesti, dunque, non ci sono compratori e si preferisce aspettare; ma tasse, costi di manutenzione, caduta degli affitti e le prospettive di recessione, accentueranno la necessità  di vendere, e quindi la caduta dei prezzi. Senza contare l’offerta latente dello Stato, che vuole privatizzare, dei fondi, che vogliono fare liquidità , e delle tante posizioni a leva, che devono ridurre i debiti.
Robert Shiller ha mostrato come la dinamica degli immobili in questo ultimo ciclo sia diversa perché gli acquisti sono stati fatti prevalentemente con un’ottica di investimento, sostenuti dall’aspettativa che alla lunga gli immobili si rivalutano sempre, e quindi offrono un guadagno certo. Se sono le aspettative di rivalutazione a guidare l’investimento immobiliare, piuttosto che il desiderio di usufruire di un bene durevole, la volatilità  dei prezzi aumenta: la salita sarà  più accentuata, ma anche la discesa, non appena le aspettative cambiano direzione. Quanti italiani hanno investito nel mattone perché «con l’affitto ci pago il mutuo, e non si può perdere»? Quanti capitali scudati sono stati investiti nell’immobiliare? Quante società  hanno scorporato immobili per creare investimenti a leva? E quanti sono stati “apportati” nei fondi di investimento? In passato, infine, dopo ogni sbornia c’era l’inflazione che riportava in equilibrio le valutazioni degli immobili. Questa volta c’è l’euro: e senza inflazione, saranno i prezzi nominali a dover scendere.
Non sarà  fonte di rischio sistemico, ma la probabile contrazione della ricchezza immobiliare in Italia avrà  un effetto depressivo, esacerbando anche il credit crunch. In un’interessante tabella su A&F del 23 aprile si calcola in 420 miliardi l’esposizione all’immobiliare di 8 grandi banche italiane, di cui 143 verso società  (senza contare il settore delle costruzioni): non sarà  la Spagna, ma rispetto ai 149 miliardi di patrimonio delle 8 banche, qualche preoccupazione dovremmo averla.


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