Bar, alberghi e gioiellieri: redditi sotto 17 mila euro

by Editore | 31 Maggio 2012 7:18

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ROMA — I redditi medi dichiarati nel 2011 dai quasi 3,5 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore sono aumentati dell’1%, ma la spinta all’adeguamento della dichiarazione dei compensi è arrivata prevalentemente dal basso, cioè da chi guadagna, o dice di guadagnare di meno. Tra il 2010 ed il 2009, visto che le dichiarazioni 2011 riguardano l’anno precedente, gli aumenti maggiori delle somme dichiarate si sono registrate per gli istituti di bellezza, i negozi di abbigliamento e di scarpe, i pellicciai, ma soprattutto per i bar, gli alberghi ed i ristoranti. Qualcosa dunque si muove, anche se in molti settori economici i redditi medi dichiarati al fisco restano poco verosimili.
Gli istituti di bellezza, ad esempio, hanno dichiarato al fisco un reddito medio di 6.500 euro, che è sempre qualcosa in più dei 5.300 euro del 2009, ma sembra ancora poco aderente alla realtà . I negozi di abbigliamento e scarpe, nel 2011, hanno dichiarato guadagni medi di 8.600 euro, contro i 7.700 dell’anno precedente, mentre per i pellicciai il reddito medio dichiarato negli studi di settore è passato da 8.800 a 12.200 euro. Niente a che vedere con leperformance di bar, ristoranti e alberghi che, nonostante l’aggravamento della crisi, hanno adeguato all’insù, e di parecchio, la propria denuncia dei redditi.
Nei servizi di ristorazione il reddito medio tra il 2009 ed il 2010 è passato da 12.900 a 14.300 euro, per i bar e le gelaterie è salito da 15.800 a 16.800 euro, mentre per gli alberghi si segnala un aumento spettacolare: da 11.900 a 14.700 euro di media. La maggior propensione di ristoratori e albergatori a pagare le tasse è confermata anche dai dati sulle dichiarazioni delle società  di persone che per il settore di alberghi e ristoranti è cresciuto in media del 2,9% (contro una media dello 0,41%).
Tornando agli studi di settore, appaiono in crescita anche i guadagni denunciati dalle gioiellerie (da 16 a 17 mila euro) e dai meccanici (da 24.300 a 24.700 euro), ma dichiarano di più anche i notai, che sono di gran lunga la categoria di contribuenti più ricca, con 318.200 euro denunciati nel 2010, contro i 310.800 dell’anno prima. Al contrario, diminuiscono i redditi medi di commercialisti ed esperti contabili (da 65.900 a 61.300 euro) e soprattutto degli avvocati (da 66.100 a 57.600 euro), ma anche quelli di architetti, pasticceri, macellai e negozianti di giocattoli, mentre sostanzialmente invariati sono i redditi dei farmacisti, dei fornai, dei negozi di alimentari, dei fiorai. 
Ovviamente si parla di valori medi, perché tra le diverse tipologie di contribuenti soggetti agli studi di settore esistono differenze molto evidenti. Basti pensare, come sottolinea il ministero dell Finanze in una nota che accompagna i dati di ieri, che i contribuenti persone fisiche dichiarano il 26,9% dei ricavi complessivi, ma dichiarano il 57,3% dei redditi. Mentre, al contrario, le società  di capitali soggette agli studi di settore, pur dichiarando la metà  del totale dei compensi, denuncia solo il 17,8% del totale dei redditi.
Anche l’analisi delle dichiarazioni Iva fornisce indicazioni interessanti sulla struttura dei redditi. In quell’ambito lo 0,85% dei contribuenti, che sono quelli che hanno un giro d’affari superiore a 7 milioni di euro l’anno, detengono circa il 66% del volume d’affari complessivo registrato dai 5,2 milioni di partite Iva attive. Da sottolineare, sempre per quanto riguarda l’Iva, gli effetti della stretta sulle compensazioni tra crediti e debiti, avviata due anni fa con la certificazione obbligatoria del crediti da parte dei commercialisti. Il giro di vite ha prodotto un calo delle compensazioni di quasi il 40%: tra il 2009 ed il 2010 sono scese da 16,5 a 10,1 miliardi di euro. Segno che le nuove norme, dice il ministero, si sono dimostrate efficaci contro le compensazioni indebite, e dunque contro l’evasione fiscale. Un fronte sul quale il governo e le sue agenzie non hanno intenzione di arretrare. «Noi applichiamo la legge, e non possiamo stabilire caso per caso quale sia una sofferenza giusta che si può infliggere, e quale sia una ingiusta che non va inflitta. Se così si facesse, si derogherebbe alla legge. È il Parlamento che deve affrontare questo problema. Essere fermi non vuol dire essere insensibili».

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