Consumo del suolo, quando il cemento si sgretola

by Editore | 31 Maggio 2012 15:40

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Nei giorni scorsi è stato presentato il “Rapporto 2012 sul consumo del suolo”, elaborato il DiAP del Politecnico di Milano, dal CRCS (Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo), fondato da Legambiente ed INU (Istituto Nazionale di Urbanistica): una ricerca che evidenzia una realtà  preoccupante anche perché mancano “dati affidabili e aggiornati sugli usi del suolo”. Facendo riferimento alla Provincia di Milano e alla Brianza i dati forniti dal Rapporto, riferiti al periodo compreso tra il 1999 e il 2009, ci parlano di una forte crescita dell’urbanizzazione (+20.063 m2 al giorno, una superficie più ampia di piazza del Duomo) con inevitabili ripercussioni anche sul fronte agricolo, che visto perduti 6.839 ettari nel periodo di riferimento.

“È come se volessimo contrastare l’inquinamento senza disporre di una rete di rilevamento della qualità  dell’aria”, afferma Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del rapporto, “Ma da quando abbiamo iniziato a sollevare il problema le cose hanno iniziato a cambiare e oggi registriamo alcuni positivi segnali di attivazione istituzionale dai livelli centrali”; a partire dall’ISTAT, che su iniziativa della Commissione Ambiente del Senato, si è candidata a realizzare il monitoraggio nazionale degli usi del suolo, facendo sperare in un cambiamento a breve termine.

“Occorre rapidità  nel disegnare nuove, concrete (non teoriche) e coraggiose politiche sull’uso del suolo – prosegue Pileri – che, ricordo è bene ambientale e bene comune, e non può essere delegato esclusivamente alle decisioni degli 8092 comuni italiani, frammentati, deboli e scoordinati, i quali vivono il conflitto di interesse di una normativa che li premia se consumano”.

Se da un lato la sensibilità  istituzionale sembra aumentare, soprattutto a livello locale, dall’altro i dati presentati ieri e che emergono dal Rapporto, continuano ad essere preoccupanti: in un solo decennio, il totale delle urbanizzazioni dell’area meneghina, ha portato ad un’estensione pari ad una nuova città  grande come mezza Milano. La situazione emerge chiara dall’analisi dei dati relativi al consumo del suolo legatoall’area Expo, dove accanto all’enormità  delle superfici trasformate e pubblicamente dichiarate per la manifestazione internazionale, si affiancano un’infinità  di interventi minori nei comuni limitrofi che se sommati, costituiscono una porzione di territorio grande quanto quella di Expo.

“Il consumo di suolo è in primo luogo l’effetto di scelte urbanistiche la cui responsabilità  è in capo ai comuni – ricorda Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia – per questo il rapporto punta l’attenzione proprio su questo livello amministrativo, fornendo uno strumento affinché ogni Comune si doti di un proprio e coerente censimento dell’uso del suolo prima di assumere qualsiasi decisione”.

Lo stesso INU ha sollevato l’esigenza di una sostanziale innovazione delle regole: “Occorre sfruttare la battuta d’arresto del mercato edilizio per riorientare le strategie del settore delle costruzioni: una legge nazionale che fissi il principio chiave che il suolo non va consumato e che invece bisogna investire sulla qualità  dello spazio già  costruito è diventata una esigenza indifferibile – dichiara Federico Oliva presidente nazionale di INU – anche se le competenze urbanistiche sono regionali, il livello nazionale è quello in grado di agire sulla fiscalità  dei suoli, leva essenziale per spostare l’interesse degli investitori dai suoli liberi ai cantieri urbani, dove al contrario deve essere più facile avere accesso ad incentivi e semplificazioni normative”.

Altre cifre, non meno inquietanti, si leggono nel dossier FAI/WWF “Terra rubata, viaggio nell’Italia che scompare”, pubblicato nel febbraio 2012. “l’area urbana in Italia negli ultimi 50 anni si è moltiplicata, secondo i dati ufficiali, di 3,5 volte ed è aumentata, dagli anni ’50 ai primi anni del 2000, di quasi 600mila ettari – oltre 33 ettari al giorno e 366,65 mq a persona con valori medi oltre il 300% e picchi di incremento fino al 1100% in alcune regioni – equivalenti all’intera regione del Friuli Venezia Giulia. … Tra le 11 regioni finora monitorate (Umbria, Molise, Puglia, Abruzzo, Sardegna, Marche, Valle d’Aosta, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia), l’erosione del suolo dell’ultimo mezzo secolo è avanzata a un ritmo spaventoso, passando da un incremento minimo di circa il 100%, in Umbria, Liguria, Valle d’Aosta e Friuli, fino a oltre il 400%, in Molise, Puglia e Abruzzo, e più del 500% per l’Emilia Romagna. Per la Puglia in particolare la copertura urbanizzata attuale è quasi sei volte quella misurata negli anni del dopoguerra. Caso esasperato è quello della Sardegna che ha fatto registrare un incremento di suolo urbanizzato in poco meno di 60 anni pari a più di 11 volte (1154%) quello degli anni ‘50. Il territorio perso giorno per giorno. Se il Molise ha trasformato i propri suoli al ritmo costante di oltre mezzo ettaro al giorno, il Friuli e l’Abruzzo sfiorano i due ettari, mentre supera i tre ettari giornalieri la Sardegna. I valori più elevati si raggiungono però in Puglia, con una conversione quotidiano superiore ai 5 ettari tra il 1949 e il 2002 con un massimo in Emilia Romagna di quasi 9 ettari giornalieri tra il 1954 e il 2008”.

Per far fronte a questa situazione ci sarebbero alcuni provvedimenti urgenti da prendere: adottare innovativi piani urbanistici e paesaggistici; lottare veramente contro l’abusivismo edilizio; disincentivare la costruzione di nuovi edifici (altro che new town!); lavorare per l’approvazione di una normativa stringente e valida a livello nazionale. Promesse ne abbiamo già  sentite molte volte ma di nuovo vogliamo credere a queste parole pronunciate dal ministro Ornaghi in Senato nel marzo scorso: “Il primo e fondamentale strumento per limitare il consumo del suolo consiste proprio nel diffondere la cultura della legalità  nell’uso e nelle trasformazioni del territorio. Se finora si è potuto consumare liberamente il suolo è stato soprattutto perché è mancata la coscienza della sua natura di risorsa scarsa”.

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