Distinto, 50 anni, non alto Lo stragista nel video

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Di notte era vestito di scuro, con un cappellino in testa a proteggergli il volto e abbastanza agile da spostare un cassonetto per la raccolta differenziata dei rifiuti con almeno 45 chili di bombole del gas: così l’ha descritto la testimone che l’ha visto attraversare la strada spingendo il suo carico di morte, mentre lei rientrava a casa dalla discoteca. La mattina dopo — meno di sei ore più tardi — indossava una giacca scura e un paio di pantaloni chiari, scarpe sportive da vela tipo Hogan, l’aria distinta di un signore di mezza età , un po’ stempiato e coi capelli scuri; è l’immagine ripresa dalla telecamera del chiosco per la vendita di bibite, a quell’ora ancora chiuso, dietro il quale s’era appostato per azionare il radiocomando che ha provocato l’esplosione assassina.
È la stessa persona o sono due diverse? Il dinamitardo ha agito da solo o aveva almeno un complice? Alla testimone della notte sono stati mostrati alcuni fermo-immagine dell’uomo che aziona il telecomando, quelli in cui la figura sfocata del volto è un po’ più nitida, anche se non si capisce nemmeno se porta gli occhiali oppure no. Non l’ha riconosciuto, né lei né l’altra persona che pure ha notato il signore che spostava il cassonetto. Ma il mancato riconoscimento non viene considerato un dettaglio decisivo. I due testimoni potrebbero non aver colto i dettagli necessari a individuare la stessa persona, la quale tra l’una e l’altra manovra potrebbe essersi cambiata d’abito.
L’attentato di Brindisi è il primo ripreso in diretta al momento dell’attivazione del telecomando. Il killer ha un’età  apparente tra i 50 e i 55 anni, la statura inferiore al metro e settanta, non più di 1,65 secondo calcoli e misurazioni della polizia scientifica. Del volto s’intuisce la fisionomia, non mostra segni particolari. Chi lo conoscesse, o l’avesse incontrato e osservato con un po’ d’attenzione potrebbe riconoscerlo, magari dalle movenze e dall’atteggiamento. Altrimenti sarebbe complicato. L’uomo tiene entrambe le mani in tasca guardando avanti a sé, verso la scuola «Francesca Morvillo Falcone» che dista una ventina di metri. All’improvviso estrae la sinistra e fa un gesto puntando in direzione della scuola. Forse dopo aver visto l’arrivo delle studentesse. Come se azionasse il radio-comando che porterà  all’esplosione delle tre bombole di gas nascoste nel cassonetto.
La deflagrazione non avviene subito. Dopo la mossa dello sconosciuto passano all’incirca cinquanta secondi, quasi un minuto in cui non accade niente, e l’uomo sembra ritrarsi dietro il chiosco, come a ripararsi da quello che sa che sta per succedere. Sparisce dall’inquadratura, finché la telecamera comincia a vibrare, a causa dell’esplosione che fa tremare il chiosco sul quale è montata. È il momento dello scoppio che uccide Melissa e ferisce le sue compagne.
Il lasso di tempo nel quale l’uomo rimane in attesa dell’esplosione dietro il chiosco è spiegato dagli specialisti della Scientifica con un particolare innesco che non attiva immediatamente il circuito, ma appunto dopo qualche decina di secondi, attraverso un sensore che entra in funzione al passaggio di qualcuno. È il particolare congegno utilizzato per confezionare l’ordigno, un ulteriore dettaglio dal quale gli investigatori stanno cercando di cavare elementi utili a risalire ad autore e movente dell’agguato alle studentesse.
Dopo essere uscito di scena, l’assassino ricompare a distanza di qualche secondo dall’esplosione nell’inquadratura di una seconda telecamera, che riprende la stessa persona mentre si allontana nella direzione opposta a quella della scuola, prima di profilo e poi di spalle. Con passo non troppo svelto ma deciso, fino a scomparire del tutto dalla visuale. Se n’è andato a piedi, senza fretta per non dare nell’occhio. Forse fino a un’automobile parcheggiata chissà  dove, o con a bordo un complice.
Il film dell’attentato visto dall’angolatura del «bombarolo» non scioglie l’enigma principale di questa terribile storia: killer solitario o aiutato da qualcuno? E soprattutto: ha agito con motivazioni proprie, o è stato mandato a cercare la strage da qualcuno? Le mosse dell’uomo danno l’idea di un signore tranquillo, sicuro di sé, che non mostra particolare apprensione né prima né dopo il suo gesto assassino. Un professionista dell’azione, si potrebbe immaginare, che però nei sopralluoghi che deve aver effettuato prima dell’agguato non s’è accorto della telecamera sistemata sul chiosco che aveva scelto come nascondiglio. Errore grave, che poco si addice a un esperto del settore. Che dunque potrebbe aver agito in solitudine e con un movente privato, tutto ancora da scoprire. Ma non si può escludere nemmeno la leggerezza commessa da chi ha ricevuto l’incarico da qualcun altro, per una ragione ugualmente oscura. Chi evoca il ritorno della «strategia della tensione» ipotizza la volontà  di alimentare genericamente la tensione e il caos, compatibile con l’affidamento dell’incarico a una persona di mezza età , magari non del posto che non si cura di mostrarsi a volto scoperto a possibili testimoni che potrebbero riconoscerlo. Ma siamo di nuovo alle congetture.


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