È massiccio l’afflusso di combattenti di Al Qaeda dalle «frontiere» dell’Iraq

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La recente ondata di attentati suicidi, e la confisca libanese di un carico zeppo di armi destinato ai ribelli siriani, mette in secondo piano l’infiltrazione non solo dell’ideologia sunnita-jihadista in Siria, ma anche di armi, tattiche, e combattenti provenienti da tutto il Medio Oriente. Tali forze, assieme agli islamisti radicali siriani, si propongono di intensificare i loro attacchi verso obiettivi civili e governativi allo scopo di trasformare la Siria sebbene sia difficile da credere nel novello Iraq.
A differenza dell’Egitto, il governo siriano ha dimostrato di esser ben più radicato e difficilmente removibile per mezzo delle sole proteste civili e della pressione internazionale. Questa consapevolezza, e una repressione sempre più brutale da parte del governo, ha generato un inevitabile militarizzazione del conflitto, alimentata e intensificata da elementi sunniti distribuiti trasversalmente in Medio Oriente, e soprattutto da Arabia Saudita, Qatar e Libia. Sebbene i militanti sunniti non siano più in grado di sconfiggere la ben armata, motivata ed efficiente forza combattente siriana in battaglia aperta, stanno sviluppando una strategia, dove bombe e altri attacchi asimmetrici verso obiettivi civili e governativi in Siria diverranno probabilmente la norma nell’imminente futuro.
Detto ciò, l’opposizione siriana rimane attiva e in grado di portare avanti le sue attività , ma sfortunatamente per loro, il governo di Assad non sembra intenzionato a volersene andare al momento. Mentre molti oppositori sunniti ancora bramano maggiori diritti personali e politici, è nata in loro la consapevolezza che tale situazione non potrà  avvenire a meno che i secolari e compatti alawiti non siano scalzati dal potere. Al contempo, la Siria è emersa come ben più di una semplice battaglia per l’ottenimento di diritti individuali e politici, ma come una battaglia regionale per il potere che oppone gli alawiti e i loro alleati regionali contro un blocco sunnita-islamista emergente determinato a riportare la Siria sotto il controllo della sfera islamista stessa.
Facendo un passo indietro, è importante notare come la militanza sunnita e l’Islam politico non rappresentano minacce straniere opposte al regime alawita. Per più di quattro decadi, la famiglia Assad si è difesa contro tali minacce e ha condotto numerose operazioni militari, che includono il massacro di Hama del 1982, per sopprimerle. A quel tempo, la principale minaccia al governo alawita erano i Fratelli Musulmani. A differenza del 1982, i Fratelli hanno di gran lunga un maggior supporto oggigiorno e sono in crescita in tutta la regione assieme ad altre e perfino più radicali sette islamiste.
Mentre l’opposizione continua a negare qualsivoglia ruolo nei recenti attentati, il contesto settario in cui si dipana la crisi, che mescola tensioni attraverso i confini a un crescente estremismo nell’intero mondo musulmano, fa sì che queste dichiarazioni siano altamente improbabili. In aggiunta, un gruppo militante sunnita, il Fronte di Al-Nusra, ha già  rivendicato la responsabilità  per l’esplosione avvenuta a Damasco la scorsa settimana su un website jihadista, che si va ad aggiungere a quella per attacchi suicidi precedenti. 
I sunniti siriani stanno ricevendo supporto dall’intero mondo musulmano. Dalla Cecenia alla Libia, i sunniti sono determinati a veder rovesciato l’«eretico» regime alawita e in molti sembrano voler sostenere o attuare un maggior numero di attacchi militanti per raggiungere tale obiettivo. Ancora, è stato riferito abbondantemente che c’è stato un afflusso di combattenti di Al-Qaeda dal vicino Iraq in Siria ed è altamente improbabile che costoro siano venuti per reggere cartelli durante le proteste.
Piuttosto, è probabile che stiano portando con sé la guerra santa la stessa che ha colpito sciiti, cristiani e americani in Iraq in precedenza contro alawiti, Hezbollah, Iran e Siria. In aggiunta ai combattenti stranieri, molti sunniti siriani si sono radicalizzati e sono pure diventati seguaci di dottrine jihadiste. Ciò è indicato apertamente dai nomi islamisti di molte brigate del Esercito Libero Siriano, come anche dal loro aspetto, dalle loro dichiarazioni, e dalla crescente tendenza islamista diffusa nella regione, che non ha scavalcato la Siria. Come affermato prima, l’Islam politico era ricorso alla violenza in Siria anche prima, ma a differenza del passato, la vera e temibile minaccia proviene non dai Fratelli Musulmani ma da elementi del Salafismo e Wahabismo presenti all’interno del territorio siriano.
Sebbene i Fratelli siano tradizionalmente il più prominente partito sunnita siriano, le sette più radicali salafite e wahabite sono ora in crescita in Siria. Inoltre, esse portano con sé la capacità  di scatenare un’inarrestabile guerra santa. La loro crescita sul territorio e la conseguente guerra santa in Siria diventano sempre più possibili, data l’ascensione di credo jihadisti promossi durante la «Primavera Araba» lungo l’intero Medio Oriente.
Per finire, sebbene l’opposizione abbia fallito sia pacificamente che militarmente nel rovesciare il regime di Assad, elementi più radicali all’interno della Siria e all’estero sono pronti a promuovere e attuare l’uso di attacchi militanti più aggressivi.
Presumibilmente, il loro obiettivo è di indebolire ed erodere il regime alawita in Siria a lungo termine, così come trasformare il paese nel prossimo Iraq.
* ekurd.net
www.ekurd.net/mismas/articles/misc2012/5/syriakurd492.htm
(traduzione di Eleonora Vio)


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