Eurobond, Bce, mercato del lavoro la Ue divisa sulla ricetta della crescita

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Per uscire dalla crisi l’Europa ha un mini-accordo raggiunto mercoledì scorso da lanciare al summit del 28 giugno. Misure in rampa di lancio da mesi buone per mascherare le divisioni tra Berlino e gli altri. Ma se l’Ue non lo rimpolperà  andrà  incontro a uno storico fallimento. Tappa centrale il vertice di Roma del 22 giugno tra Monti, Merkel, Hollande e Rajoy destinato a preparare il summit Ue del 28. Si combatte su Eurobond, spesa pubblica e Bce. E la Merkel per uscire dall’isolamento lancia un suo piano per la crescita che mira a germanizzare l’Europa del Sud. Sempre che Grecia e Spagna non facciano saltare tutto.

Infrastrutture / Project bond e risorse alla Bei partono lavori per 180 miliardi    


Project Bond, fondi strutturali e Banca europea degli investimenti. È quanto finora concesso dalla Germania e dalla sempre più timida Commissione guidata dall’equilibrista Barroso per rimettere in moto l’economia. Misure buone che saranno lanciate al vertice Ue di fine giugno che però per la maggior parte dei governi – italiano incluso – non basterà  a far ripartire la crescita. Giudizio emerso chiaramente al summit europeo di mercoledì scorso. I Project Bond sono solo un progetto pilota: 230 milioni nei prossimi 2 anni per generare 4,5 miliardi di investimenti. Conta il principio di averli fatti accettare a Berlino come cavallo di Troia per arrivare agli Eurobond. La Bei invece con una ricapitalizzazione di 10 miliardi potrà  attivare una leva finanziaria di circa 180 miliardi per le infrastrutture. Ci sarà  poi più attenzione ad assegnare i fondi strutturali dell’Unione a progetti che stimolino il rilancio del Pil.

Mercato interno / Lavoro, ricerca, energia, digitale cadono i paletti tra le frontiere    


Tra le altre proposte sul tavolo hanno buone possibilità  di passare quelle italiane, con il premier Mario Monti che a gennaio per primo ha aperto il dibattito sulla crescita. Dopo mesi di negoziati con Bruxelles e le altre capitali – portati avanti giorno dopo giorno anche dal ministro agli Affari europei Enzo Moavero – ora può andare all’incasso. Al summit di giugno dovrebbe arrivare la concretizzazione di buona parte del piano per il completamento del mercato interno e le liberalizzazioni a livello europeo chiesto da Roma nella lettera firmata da altre 11 capitali a marzo. Il piano in otto punti prevede meno vincoli sul mercato del lavoro, in campo energetico, sulla ricerca e sul digitale. Si negozia poi sulle “prospettive finanziarie”, il bilancio Ue 2014-2020 da approvare entro fine anno. L’Italia ha portato dalla sua Francia e Germania sulla necessità  di orientare tutte le spese dell’Unione alla crescita.

Imprese / Via libera ai pagamenti pubblici per ridare fiato alle aziende    


L’Italia, seppure in modo informale, dovrebbe portare a casa anche la possibilità  per tutte le capitali di saldare i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Debiti che stanno inchiodando la nostra economia (70 miliardi) e quella di altri paesi, ad esempio la Spagna. Non è passata la richiesta di Monti di non conteggiare questi pagamenti nel debito pubblico, ma al summit di mercoledì scorso ha ottenuto rassicurazioni: l’Europa non ostacolerà  i pagamenti, non richiamerà  l’Italia a patto che siano saldati prima dell’entrata in vigore del Fiscal Compact che dal 2015 prevede l’abbattimento obbligatorio del debito pubblico. In sostanza Bruxelles, con l’ok di Berlino, assicura che chiuderà  un occhio se prima del 2015 il debito italiano salirà  del 3-4% (è già  al 123%) per via di pagamenti di quanto dovuto ai privati. Che comunque – così si spiega l’ok – serviranno a dare ossigeno alle imprese, e quindi alla crescita.

Finanza / Spaventano le euro-obbligazioni e una banca centrale più forte    


Eurobond e Bce, ecco la madre di tutte le battaglie. La Merkel continua a dire di no alla condivisione del debito pubblico attraverso titoli dell’Unione, anche se dietro le quinte arrivano segnali che fanno sperare in un cambiamento di rotta entro fine anno, quando buona parte delle capitali avrà  sottoscritto il nuovo trattato sul rigore (Fiscal Compact). Sugli Eurobond insistono tra gli altri Italia, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo e Belgio sostenuti dai presidenti di Commissione e Consiglio europeo, Barroso e Van Rompuy. Ancor più spinoso il capitolo Banca centrale europea: l’Italia si accontenterebbe che finissero le pressioni nordiche contro le sue azioni anti-crisi (acquisti dei titoli dei Paesi in difficoltà  e immissioni di liquidità ). La Francia mira più alto chiedendo una revisione dello Statuto che la trasformi in una vera banca centrale di uno Stato federale come la Fed. Ma sembra dura.

Il contro-piano / Meno burocrazia e sgravi al Sud ecco il rilancio della Germania    


La Merkel, ormai accerchiata, spariglia e lancia un suo piano per la crescita nel tentativo di tenere in mano il pallino della discussione e di far passare le sue idee. Una zona franca dove investire nei Paesi del Sud Europa, meno burocrazia, privatizzazioni in massa come fatto per rilanciare la ex Ddr, sistema di formazione professionale in stile tedesco, mercato del lavoro flessibile, retribuzioni sotto i livelli contrattuali contro la disoccupazione. Idee valide ma non universalmente applicabili. Che “germanizzerebbero” l’Europa mediterranea. Sullo sfondo restano quelle riforme istituzionali (adombrate pubblicamente dalla Merkel, accarezzate in privato da Monti) che finalmente potrebbero dare all’euro quella governance da Stato federale che molto avrebbe attutito la crisi. Un lungo processo di cui si potrà  parlare solo quando la tempesta sull’euro sarà  passata. Dunque Grecia e Spagna permettendo.

Golden Rule / Il “premio” alla spesa pubblica ora arriva solo a cose fatte    


Ancora aperta la Golden Rule, la regola aurea lanciata da Monti che prevede di non contare nel deficit gli investimenti pubblici che generano crescita. La proposta iniziale è stata ammorbidita e ha fatto strada (ora prevede una semplice reinterpretazione del Patto di stabilità ). Resta però uno scontro difficilmente superabile entro giugno: Bruxelles si riserva di giudicare se una spesa sarà  produttiva, e quindi da premiare, solo dopo che sarà  stata effettuata. L’Italia – come Spagna, Belgio e Francia – chiede invece un ok preventivo in modo da non rischiare di spendere soldi che poi non saranno sottratti dagli obiettivi di risanamento del deficit. Resta aperto anche il capitolo Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie odiata da Londra. La si potrebbe fare anche non a 27, ma più Paesi la adotteranno e più sarà  efficace. Si discute poi su come usarne i proventi (Bruxelles li vorrebbe nel bilancio Ue).


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