Gli ex operai Fiat caricati e inseguiti negli stabilimenti

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La Fiat ha sfruttato quell’area e i lavoratori fino all’osso, poi se n’è andata è ha lasciato rottami e disoccupazione. I piani di rilancio nel tempo sono falliti – chi si ricorda più di quando Formigoni nei suoi anni di gloria, era il 2005, profetizzava un polo per la mobilità  sostenibile e le auto a idrogeno? Adesso la gigantesca fabbrica ha lasciato il posto a una costellazione di imprese che per lo più si occupano di servizi: 400 ex operai Fiat lavorano per il call center del Lingotto, qualche decina si occupa di altre funzioni, 150 invece sono in cassa integrazione da anni. Altri 1.000 lavoratori, in maggioranza precari, sono impiegati da cooperative che operano soprattutto nella logistica e nel trattamento dei rifiuti. Settanta operai specializzati ex Fiat erano stati riassorbiti dalla Innova Service con compiti di portineria, manutenzione e pulizia. Un anno e mezzo fa sono stati licenziati, non hanno più nulla, né stipendio, né cassa integrazione, né disoccupazione. Per questo sono in agitazione permanente. «Innova Service è gestita da Angela di Marzo, vicina ai servizi segreti (lavorava per il pronto intervento della Nato a Solbiate), amica del prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi e coinvolta nel processo che è seguito alla scoperta di un microfono spia negli uffici dell’ex direttore generale di Palazzo Marino e attuale ad di Expo Giuseppe Sala», sostiene Corrado Delle Donne dello Slai Cobas.
Ieri mattina questi 70 ex operai Fiat, insieme a rappresentanti dei lavoratori impiegati nelle altre aziende nell’ex polo industriale, hanno occupato la portineria sud-ovest dove da un anno è in corso un presidio permanente, poi l’ingresso del mega deposito di auto Fiat Automotive. Circa un mese fa gli stessi lavoratori avevano occupato alcune sale del comune di Arese e avevano ottenuto la promessa che sarebbe stato convocato un tavolo con Prefettura, regione Lombardia, sindacati e proprietari dell’area per discutere la loro situazione. Poi però non se n’era fatto nulla. Per questo ieri hanno deciso di presidiare di nuovo il loro ex posto di lavoro. L’idea era quella di lasciare passare le auto, ma fermare i camion almeno per un’ora. Niente di drammatico, e invece le forze dell’ordine hanno deciso di intervenire. «La Digos era informata dell’iniziativa – spiegano i lavoratori dello Slai Cobas – ma ci hanno caricato e inseguito fin dentro la fabbrica». All’interno dello stabilimento c’è infatti il consiglio di fabbrica che dista circa 250 metri dalla portineria. Di fronte all’azione degli agenti in tenuta antisommossa, i manifestanti hanno cercato di riunirsi nell’area del consiglio di fabbrica ma sono stati inseguiti e cacciati fuori. Anche Paolo Ferrero (Prc) ha chiesto un immediato intervento del ministro degli interni Anna Maria Cancellieri per mettere fine ad un «vergognoso rastrellamento delle forze dell’ordine». I manifestanti sono stati circondati dagli agenti: «Siamo rimasti bloccati per un’ora e mezzo, alla fine è arrivato l’ordine di lasciarci andare. Oggi torneremo davanti alle portinerie».


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