Gli Universi possibili

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Nel 1997, Sergej Brin e Larry Page cercavano un nome per il proprio motore di ricerca. Fu un loro compagno di studi di Stanford a buttare lì un termine utilizzato in matematica e in astrofisica: Googol. Il termine era stato coniato nel 1938 da un bambino di nove anni, nipote del matematico americano Edward Kasner, che lo aveva sfidato a trovare un nome per un numero molto grande: 1 seguito da 100 zeri. È in anni googol, ad esempio, che si stima il tempo necessario per l’evaporazione di alcuni buchi neri. Un nome perfetto, dunque. Ma controllando se il dominio Googol.com fosse disponibile, il compagno di studi fece ciò che capita a tutti noi: sbagliò a digitare sulla tastiera. La lieve deformazione piacque più dell’originale, e Page e Brin si affrettarono a registrare “Google.com”. 
Così Il libro degli universi di John Barrow (Mondadori) ci ricorda che la storia della ricerca e della riflessione sul tema offre straordinari esempi di come l’immaginazione degli scienziati possa e debba svilupparsi nel tentativo di spiegare qualcosa. Ecco allora il “cosmologo teorico più famoso degli anni Trenta”, il prete cattolico Georges Lemaà®tre, che paragonava l’evoluzione dell’universo a «un’esplosione di fuochi artificiali appena finita: qualche pennacchio rosso, cenere e fumo». Nel 1946 fu a quanto pare la visione di un film horror dalla struttura narrativa circolare, Dead of Night, a ispirare la teoria dello stato stazionario. Tornando a casa dal cinema, Fred Hoyle, Hermann Bondi e Thomas Gold fantasticarono di un film che potesse essere visto iniziando da qualunque punto, e si chiesero poi se lo stesso ragionamento potesse essere applicato a un universo senza inizio e senza fine. Ed ecco l’ipotesi elaborata nel 1979 da Alan Guth, secondo cui l’universo avrebbe attraversato una rapida fase di espansione accelerata. Guth era un giovane fisico che stentava a trovare un incarico accademico stabile: fu probabilmente in ironico riferimento al difficile contesto economico di quegli anni che decise di battezzare “inflazione” la propria teoria. 
Ma forse il più ricco serbatoio di immagini è l’ambito domestico e culinario. Il già  citato Kasner ipotizzò un universo “simile a un pancake” che si espande a velocità  diverse in direzioni diverse. Alcuni studiosi descrivono come grandi aggregazioni primordiali di materia collassino a formare «sottili dischi di gas di aspetto simile a frittelle, che successivamente si frammentano in molte galassie». Nel 1945, Einstein e il suo assistente Ernst Straus ipotizzarono un universo che «presentava regioni sferiche vuote, come buchi in un formaggio svizzero». Barrow ci racconta di universi “fatti in casa”, “arrotolati”, “a forma di ciambella”. Barrow conclude la sua guida facendo riferimento a ipotesi oggi molto discusse come quella del “multiverso”, secondo cui potrebbero esserci numerosi altri universi caratterizzati da proprietà  diverse dal nostro. Ipotesi che spingerebbero non solo la ricerca, ma la stessa società  e cultura a mettere in discussione le proprie certezze e capacità  di immaginazione.


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