Il dopo-Mubarak è una corsa a due

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I primi a votare, già  domani, saranno gli egiziani residenti all’estero. Il 23 e 24 maggio toccherà  a decine di milioni di egiziani in patria ad andare alle urne per eleggere il capo dello stato. «Tutto procede bene» dicono i generali che compongono la giunta militare al potere dall’11 febbraio 2011, giorno dell’uscita di scena del rais Hosni Mubarak sull’onda della protesta incontenibile in Piazza Tahrir al Cairo e nelle altre grandi città  del paese. E per mettere in chiaro che gli ultimi giorni di sangue ad Abbasiye, davanti al ministero della difesa, non modificheranno le scadenze politiche, ieri i militari hanno diffuso un nuovo comunicato nel quale oltre a confermare la data delle presidenziali (primo turno a maggio, ballottaggio a giugno) respingono «tutte le forme di attacco» alla commissione elettorale e le voci su frodi elettorali. Due giorni fa i responsabili del processo elettorale avevano annunciato la sospensione di tutte le attività  per protestare contro le critiche giunte dal Parlamento, dominato dagli islamisti (Fratelli musulmani e Salafiti) vincitori nei mesi scorsi, con ampio margine, delle elezioni legislative. La giunta militare ha poi ribadito che il potere sarà  trasferito al presidente eletto secondo il calendario stabilito.
Diritto di “ultima parola”
È difficile valutare l’impatto tra la gente delle rassicurazioni arrivate da generali che hanno perduto tutta o gran parte della loro credibilità  in questi ultimi mesi fatti di promesse mancate, repressione durissima, arresti indiscriminati e dall’incapacità  di proteggere la minoranza cristiana. A ciò si aggiunge la fine del flirt tra militari e islamisti che ha ulteriormente appesantito il clima. Pochi lo hanno scritto e detto ma si è temuto persino un colpo di stato da parte delle Forze Armate decise a tenersi stretto il diritto di “ultima parola” in un paese che dominano da quando c’è la repubblica. 
In questo quadro di fragilità  e instabilità  stenta a decollare la campagna per le presidenziali. Dopo la clamorosa esclusione, il mese scorso, dei tre pezzi da novanta – Khairat al Shater (Fratelli musulmani), Omar Suleiman (ex capo dell’intelligence di Mubarak) e il popolare sceicco salafita Hazem Abu Ismail – la corsa verso la più importante carica dello stato appare circoscritta all’ex segretario della Lega araba Amr Musa, all’islamista progressista Abdel Monem Abul Futouh e al candidato dei Fratelli musulmani Mohamed Morsy, chiamato in tutta fretta a sostituire al Shater. Morsy non riesce a convincere, appare sfavorito rispetto ai due principali rivali che sentendosi impegnati in un testa a testa hanno cominciato a beccarsi. Musa ha dato dello “sheikh” (sceicco), per il suo lungo passato nella Fratellanza Musulmana, ad Abul Futouh. Quest’ultimo ha replicato sottolineando l’appartenenza di Musa alla «vecchia guardia», non tanto per l’età  ma per essere stato per lungo tempo un esponente del passato regime e ministro degli esteri (10 anni) di Mubarak.
«La corsa per ora è tra Musa e Abul Futouh, ma non darei per spacciato Morsy», dice al manifesto Ayman Hamed, giornalista del quotidiano Tahrir ed esperto di movimenti islamici egiziani. «Il candidato dei Fratelli musulmani – spiega Hamed – sta pagando la mancanza di carisma e la parziale perdità  di credibilità  della sua organizzazione che, dopo aver vinto le elezioni, si è seduta limitandosi a mettere le mani sul potere e tenendosi lontano dalle piazze dove tanti egiziani contestano il potere dei militari». Molti – aggiunge Hamed – «non dimenticano che i Fm non hanno saputo mantenere la loro parola. Avevano escluso la loro partecipazione alle presidenziali ma poi si sono lanciati nella corsa alla poltrona più importante». «In politica l’ambiguità  è ammessa entro certi limiti – afferma il giornalista – ma i Fratelli sono una organizzazione che si ispira all’Islam e non possono giocare con la parola data». Tuttavia, aggiunge Hamed – «Morsy ha alle spalle la potente macchina elettorale dei Fratelli musulmani che nei prossimi giorni comincerà  a lavorare a tutto vapore tra i milioni di poveri che affollano le periferie del Cairo, delle altre grandi città  e nei centri rurali. Molti egiziani non hanno ancora deciso, si tratta di persone che guardano alla tradizione, alla religione e all’ultimo potrebbero scegliere Morsy». 
Più in palla appare l’altro candidato islamista, Abul Fotouh, che dopo un passato prima nella (radicale) Gamaa al Islamiyya e poi nei Fratelli musulmani, ha percorso la via dell’indipendenza (anche perché espulso dai Fm). Medico, aperto al dialogo con ogni segmento della società , sostenitore di un Egitto pluralista, Abul Futouh è un islamista sui generis che può attirare i voti degli egiziani conservatori – i salafiti dicono che voteranno per lui – ma anche dei laici desiderosi di avere alla presidenza un volto nuovo e un personaggio non legato al passato regime. Non sorprende perciò che una parte della sinistra egiziana si sia dichiarata più a suo favore che di Amr Musa. Non pochi però nutrono dubbi sulla capacità  di Abul Futouh di tenere insieme il consenso di due elettorati troppo diversi tra di loro. Il candidato islamista rischia di perdere per strada i simpatizzanti laici che hanno accolto con disappunto l’endorsement che ha ricevuto dai salafiti. 
Le possibilità  di Musa
«Alla fine credo che i voti laici si concentreranno soprattutto su Amr Musa, anche perchè i candidati riconducibili alla sinistra non hanno alcuna speranza e molti elettori opteranno per un voto utile», spiega Ayman Hamed. «Musa ha fatto parte del passato regime – prosegue il giornalista di Tahrir – ma gli egiziani gli riconoscono di aver preso le distanze da Mubarak già  diversi anni fa e di aver svolto un buon lavoro come ministro degli esteri e segretario della Lega araba condannando le politiche di Israele verso i palestinesi e criticando gli Stati Uniti». «Le possibilità  di vittoria di Musa sono elevate, specie al secondo turno, perché lo voteranno anche i cristiani che temono un presidente islamista sebbene con il volto mite di Abul Fotouh».


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