by Editore | 5 Maggio 2012 11:16
ROMA – Tra contatti riservati e pressioni che rimbalzano tra le due sponde dell’Atlantico, prende forma il piano per la crescita che il 28 giugno Mario Monti porterà al Consiglio europeo di Bruxelles. Il premier prende la rincorsa lunga, insieme al ministro Enzo Moavero inizia a sondare i partner già adesso sperando di arrivare al vertice con il maggior consenso possibile. E un ruolo lo svolgerà anche il presidente Usa Obama. Ma intanto preoccupano i conti pubblici: vanno tenuti a bada perché la recessione morde, rischiando di allontanare quell’azzeramento del deficit nel 2013 vitale per mantenere credibilità in Europa e di fronte ai mercati internazionali.
Il piano italiano per riportare il Continente a crescere – e ad uscire dalla letale recessione – è un mix tra misure liberali e keynesiane. Da un lato Palazzo Chigi pressa Bruxelles perché al summit di giugno porti quei testi – chiesti da Roma e in buona parte abbracciati dai partner europei – che obbligheranno le Capitali a fare le liberalizzazioni e ad aprire i loro mercati per far assomigliare l’Ue agli Usa, dove gli investimenti (e il lavoro) tra uno Stato e l’altro non hanno barriere favorendo la crescita. Dall’altro l’Italia ha portato dalla sua Francia e Germania perché il bilancio Ue 2014-2020 – una torta da 430 miliardi – venga usato tutto per la crescita e non a pioggia, come accade oggi. E poi le due carte vitali, almeno per l’Italia: lo scomputo da deficit e debito della spesa pubblica che produce crescita (Golden Rule) e il permesso di saldare i debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese (per l’Italia 70 miliardi che stanno ammazzando l’economia) anche in questo caso senza conteggiarli nei parametri di Maastricht. Una moratoria sul deficit, quest’ultima, valida almeno fino all’entrata in vigore del Fiscal compact, il patto sul rigore che le Capitali ratificheranno nei prossimi mesi.
Un pacchetto sul quale Monti ha già sondato Barroso, presidente della Commissione Ue, ma soprattutto la Merkel e Cameron. «Quello di alleggerire i bilanci dai debiti verso le imprese è un modo per rilanciare l’economia e rendere più sostenibile il Fiscal compact», è il ragionamento che Monti fa alle altre cancellerie. Dalle quali, Bundesamt compreso, avrebbe fin qui ricevuto aperture. Così come favorevole sarebbe il quasi presidente francese Hollande. Il calcolo di Palazzo Chigi è dunque che misure fino a poco tempo fa “blasfeme” per i rigoristi del Nord ora potrebbero passare. Tutti si sono resi conto che serve crescita e da domenica sera in Francia potrebbe arrivare Hollande, il cui “Memorandum” europeo per ora riservato (lo presenterà alla Merkel già lunedì a Berlino) darà spinta politica al disegno italiano. Monti nel mirino mette anche gli Eurobond, ma non ora: la battaglia si giocherà in autunno quando la Merkel potrebbe essere pronta a mollare anche su questo versante. Intanto un aiuto sta arrivando dai socialisti tedeschi (Spd), che minacciano la Cancelliera di non darle i voti per ratificare il Fiscalpakt (la firma congiunta del patto in Italia e Germania del 25 giugno potrebbe slittare tra luglio e settembre) se non assicurerà l’ok a misure per il rilancio dell’economia.
Il “piano Monti” potrebbe però dare ai mercati la pericolosa impressione che l’Europa voglia di nuovo indebitarsi. Un autogol – specie per il professore, per il quale il rigore resta necessario – che il premier cerca di evitare rivolgendosi riservatamente a Washington. In questi giorni i rapporti con Obama sembrano essere ancora più forti (in arrivo l’annuncio di una iniziativa diplomatica entro il G20 dei metà mese), con Monti che mira a ottenere dal presidente Usa quella copertura politica al piano capace di rilassare gli investitori globali. Intanto le trame europee del governo si accavallano con la gestione dei conti, sempre più preoccupanti per Monti. A pesare c’è la recessione. La caduta del Pil stimata in dicembre dal Salva-Italia era dello 0,4%. Nei giorni scorsi con il Def si è scesi all’1,2%, ma per il governo il deficit è salito solo dall’1,6 all’1,7%, mentre l’Fmi parla del 2,4%: all’appello mancherebbe almeno mezzo punto di Pil, circa 8 miliardi. Ci sono poi le “spese non rinviabili”: missioni internazionali, 5 per mille e autotrasporto. Altri 6-7 miliardi. In più non è detto che il Salva-Italia riesca a raccogliere tutti i 21 miliardi previsti. Se per ora all’orizzonte non c’è nessuna manovra correttiva, quel che esiste è un timore sui conti che può essere valutato tra i 10 e i 20 miliardi. Per questo i tecnici del governo stanno alzando le dighe: ci sono le risorse che arriveranno dalla lotta all’evasione – 12 miliardi nel 2011 e forse di più nel 2012 – per ora non impegnate ma che di certo aiuteranno. Mentre la cartuccia della spesa per interessi, prudentemente posizionata a dicembre su uno spread a 500, potrà essere usata solo in presenza di una forte riduzione del tasso di interesse, ma oggi siamo sempre tra 350 e 400 punti. C’è infine la spending review: 4,2 miliardi da reperire in sette mesi che, con tutta probabilità , serviranno a salvare il Natale – e con esso il Pil – degli italiani. Nei piani di Palazzo Chigi andranno usati per evitare l’aumento dell’Iva previsto per ottobre, rinviandolo almeno fino a gennaio.
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