La bandiera dei diritti civili che sventola sulla Casa Bianca
Il suo riconoscimento del diritto di tutti i cittadini in quanto tali, non perché omosessuali o eterosessuali, ma perché cittadini a unirsi di fronte alla legge senza sottoporsi a esami dei cromosomi come gli atleti olimpici, fa rivedere il meglio di un leader che la navigazione a vista di questi anni aveva ridimensionato a uomo politico. Il figliol prodigo del liberalismo americano è tornato.
Poiché, come è vero dalle rivolte delle suffragette tra l’800 e il 900, passando per quel ’68 che in America ebbe inizio, per l’eguaglianza razziale, per il femminismo, per il diritto della donne a scegliersi e non a subire la maternità , tutte le rivoluzioni di costume e di valori sono cominciate negli Stati Uniti, il segnale che arriva dalla Casa Bianca è qualcosa che parla oltre i confini di questa nazione o i calcoli dell’opportunità elettorale, che pure esistono e sono ben visibili. Nel meglio e nel peggio, il mondo che noi chiamiamo Occidente e ormai si estende anche oltre, tende sempre a seguire l’esempio dell’America, la nazione che ancora oggi conserva l’egemonia culturale su un mondo che ha prodotto molte potenze militari ed economiche, ma non ancora modelli civili alternativi.
Il gesto di Barack Obama è stato voluto, cercato esplicitamente, non sfuggito di passaggio. La Casa Bianca aveva convocato con urgenza una giornalista del network Abc, amica personale di Michelle Obama, per fare questo annuncio e per calare questa carta che ha immediatamente sparigliato la partita elettorale con il suo futuro e ormai certo avversario, il repubblicano Mitt Romney.
Alcuni commentatori hanno rimproverato una certa timidezza, a Obama, il suo essersi rifugiato in una formula classica, quella del deferire agli stati dell’Unione la scelta definitiva, dimenticando che questa era la prima volta nella storia degli Usa che un capo dello stato, la persona che incarna costituzionalmente il pontificato laico americano, osava dire quello che lui ha detto. «Sono scoppiato a piangere – ha scritto Andrew Sullivan, gay, nel suo seguitissimo blog – come se fossi uscito da un ghetto».
Ma come tutte le sortite coraggiose in materia di valori e di diritti, anche questa ha un profitto e un prezzo. Il profitto è la speranza di riconquistare quel voto della importante, ricca e militante comunità di gay e lesbiche che tanto avevano contribuito, in propaganda, voto e dollari, al successo di Obama nel 2008. Un grande donatore su sei che aiutano e finanziano il partito Democratico è gay. Nei primi 90 minuti dopo la diffusione dell’intervista, un milione di dollari in piccole donazioni individuali è affluito nella casse della campagna elettorale del presidente. Mentre Romney, il suo avversario, era costretto a ripetere solennemente che per lui «il matrimonio può essere soltanto fra un uomo e una donna», anche se sarebbe pronto a «estendere benefici e privilegi riservati alle persone sposate anche alle coppie gay».
Quando è stato chiesto quali fossero questi benefici e diritti, non ha risposto.
Il rischio è quello di alienarsi, nello scambio, una parte fondamentale del suo elettorato, gli afro americani. È infatti nell’America di colore insieme con quella più fondamentalista, che si arrocca la resistenza più tenace alle nozze fra cittadini dello stesso genere, come dimostrò il referendum abrogativo in California, passato proprio grazie al contributo elettorale degli afroamericani. Ma ormai la «linea nella sabbia», la discriminante su questo che viene considerato come l’ultimo dei diritti civili ancora non estesi a tutti, è stata tracciata e sarà impossibile per Obama ritirarsi o cancellarla. Il livello di polarizzazione fra le parti opposte è talmente alto che nulla può peggiorarlo, dunque tanto vale sfidarlo dicendo le cose giuste.
La speranza del Presidente, nel compiere questo passo che è inevitabile definire storico, è che la lenta, ma sicura evoluzione del pubblico verso il riconoscimento di questi diritti civili sia ormai andata oltre le barriere e i tabù religiosi o culturali. E che la Corte Suprema, davanti alla quale sta proprio il ricorso dello stato contro il referendum della California anti nozze gay, stabilisca che la negazione del matrimonio a due cittadini nella pienezza dei loro diritti sia una violazione dello spirito e della lettera della Costituzione. Lo stesso Obama, nello spiegare come sia arrivato ad attraversare questo Rubicone, ha usato la parola «evoluzione». La mia, ha detto, è stata «un’evoluzione»
Il rischio, tuttavia, rimane ed è alto. L’odio che ribolle nel ventre profondo dell’America, soprattutto nel Sud, e che vede in lui l’anticristo da esorcizzare a ogni costo, troverà nuovo carburante in questo annuncio, leggendovi l’ennesima riprova della sua empietà e della sua estraneità al «mainstream», al corso principale della storia e dell’anima nazionali. Basterà per controbilanciare l’eruzione di odio il ritorno a casa di quell’elettorato progressista, liberal, che minacciava di disertare le urne a novembre?
Forse, ma questi sono calcoli elettorali e da sondaggisti che fra qualche anno serviranno ai saggi dei politologi. Nella storia della civiltà americana resterà invece, per sempre, l’affermazione solenne e al massimo livello che dopo l’abolizione della schiavitù, dopo l’estensione del voto alle donne, dopo l’assalto alla segregazione di nome e di fatto, dopo l’abrogazione del divieto di matrimoni interazziali, un presidente fuori dall’ordinario ha avuto il coraggio civile di dire quello che un cristiano dovrebbe leggere nel Libro: «La regola d’oro della mia religione e del messaggio cristiano è: «Tratta gli altri come vuoi che gli altri trattino te» ha detto. Welcome home, bentornato a casa, Barack Hussein Obama…
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