La disperazione prende il fucile

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Tutto bene quello che finisce bene. L’ostaggio liberato dopo sei ore. Il sequestratore (Luigi Martinelli) nelle mani dei carabineri dopo una trattativa estenuante. Nessuna vittima. Nessuno si è fatto male. Ma cosa è successo nell’Agenzia delle entrate di Romano di Lombardia, un piccolo centro in provincia di Bergamo?
Lo scenario, perché di scenario si tratta, è quello tipico di un brutto film girato negli Stati Uniti d’America, dove chi perde la testa ogni tanto si barrica da qualche parte e compie una strage. Di solito un folle, uno psicopatico, e la notizia fa il giro del mondo. Le analogie con fatti simili sono tante (il numero degli ostaggi per esempio, all’inizio erano quattordici poi ne è rimasto uno solo), le teste di cuoio, gli elicotteri che volteggiano nel cielo, lo sgomento dei presenti, i giornalisti allontanati e un fucile a pompa per minacciare una strage. Eppure questa non è una storia «all’americana». Detto che ogni violenza è da condannare, e che questa vicenda è ancora in parte da chiarire, ancora più utile a questo punto è comprendere di cosa ci sta parlando. Qualunque sia il movente che ha spinto un uomo a confrontarsi con la morte sua, e degli altri, per motivi economici si tratta di un fatto politico. Emblematico. E’ stato un pomeriggio di un giorno da italiani.
Non solo perché ormai i cittadini italiani si suicidano al ritmo di due al giorno, e questo scandalo non scandalizza più di tanto, e nemmeno perché in Italia si è già  verificato un altro fatto dolorosissimo davanti a un’altra agenzia delle entrare, quella di Bologna, dove poche settimane fa un uomo si è dato fuoco perché sommerso dai debiti e perché si sentiva perseguitato dal fisco. Non era un ladro, e nemmeno un evasore con lo yacht. Questo di Romano di Lombardia è un fatto politico perché segnala un disagio che colpisce profondamente milioni di italiani, e se non tutti vanno fuori di testa o si ammazzano non vuol dire che la politica – chi ci governa – possa declinare ogni responsabilità  di fronte a fatti così eclatanti. Queste non sono solo vicende personali. «Sono oppresso dai debiti ma non un violento», avrebbe detto il sequestratore. «Non voleva fare male a nessuno», ha confermato il comandante dei carabinieri di Bergamo.
Naturalmente non si tratta di stare dalla parte di chi evade le tasse e neppure di chi prende in mano un fucile, ma dalla parte di chi soffre e non ce la fa più a tirare avanti. Però, una osservazione, a caldo ma quasi scientifica – se i sondaggi hanno una qualche parvenza di scientificità  – va comunque fatta: rararamente accade che «la gente», le persone normali, solidarizzino con il «folle» o con «il criminale» ancora barricato che prende in ostaggio una persona imbracciando un fucile.
Invece, oggi, è quello che sta succendo. Nei commenti sui blog, nelle risposte ai siti dei più importanti giornali italiani, persino a Radio Popolare, dove il conduttore fa fatica ad arginare la partigianeria calorosa degli ascoltatori per «quel povero uomo che se ha fatto così è perché non ce la fa più». Devono essere in molti a non farcela più. E da qui a parlare del governo Monti è cosa naturale. Solo qualche mese fa un passaggio logico di questo tipo era inimmaginabile. «Se la rabbia fosse rivolta in maniera politica verso l’esterno e non verso se stessi forse potremmo fare un piccolo salto di qualità  e dirigerci verso chi il problema lo produce» – così un ascoltatore molto pacato e non violento ha cercato di trarre una indicazione dal fatto che il cinquantenne ieri non ha rivolto il fucile contro di sé ma ha tenuto l’Italia col fiato sospeso.
La strana giornata, inutile negarlo, era iniziata un po’ in sordina, come se tutti noi ci fossimo abituati al gesto eclatante davanti a questa o quella agenzia delle entrate. Ma questa volta non era il solito atto dimostrativo. Luigi Martinelli, dopo essere entrato intorno alle 16 imbracciando il fucile, ha gentilmente invitato ad uscire «chi deve pagare le tasse»: sono usciti tutti, con lui è rimasto solo un dipendente dell’agenzia di 56 anni. Carmine Mormandi è rimasto tutto il giorno sotto il tiro del fucile, mentre gli incappucciati del Gis si stavano preparando per un blitz pericolosissimo. Per loro stessi, per l’ostaggio, per il sequestratore, e anche per tutta la politica italiana. Il sequestrato ha scritto due sms alla moglie. Il primo: «Sto bene». Il secondo: «Sta finendo lui mi controlla». Dopo pochi minuti tutto è finito. Un maresciallo dei carabinieri ha cercato di far ragionare Luigi per ore, lui insisteva nel voler parlare con la stampa.
Che dire? «La gente è stanca, o prende il fucile o si dà  fuoco», questo è il commento di Tiziana Marrone, la moglie dell’uomo che si è suicidato a Bologna. Oggi nel capolugo emiliano la donna ha organizzato la marcia delle vedove. Vedove per motivi economici.


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