La Francia volta pagina Hollande all’Eliseo un socialista dopo 17 anni

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Secondo una vecchia tradizione, che risale alla remota Terza repubblica, un politico di rango deve avere un ancoraggio elettorale nella Francia profonda. 
È come se la sua patina di provinciale, nell’animo e nelle abitudini, la cucina semplice e le discussioni al bistrot, risalisse alla nascita nell’Alta Normandia, a Rouen (città  di Flaubert, romanziere della vita di provincia). Il padre, un medico, con idee di estrema destra, nella quale militava, si è trasferito nella capitale, dove il figlio è cresciuto: nella Parigi benestante, poi in quella delle grandi scuole, come la celebre Ena che sforna presidenti e primi ministri. Molto presto ha frequentato la Parigi politica che conta. Ha debuttato alla corte socialista dell’Eliseo, ai tempi di Franà§ois Mitterrand, l’unico monarca repubblicano di sinistra eletto prima di lui. E come Franà§ois Hollande nato nella provincia. 
Ad aprire un varco al neo presidente è stata la disgrazia di Dominique Strauss-Kahn, la cui folgorante carriera si è conclusa miseramente in una stanza dell’hotel Sofitel di New York, di fronte a una cameriera africana. Strauss-Kahn era considerato il candidato ideale per sconfiggere Nicolas Sarkozy. E nel 2007 era stata preferita Ségolène Royal, la compagna di Hollande, e la madre dei suoi quattro figli, come candidata (poi sconfitta) della sinistra. Lui, Hollande, a 57 anni, era stato a lungo primo segretario del partito socialista, ma mai né ministro né sottosegretario. Era un uomo politico di rilievo, e tuttavia restava un second couteau, un secondo coltello, un personaggio di seconda fila. 
L’ambizioso progetto di Franà§ois Hollande è di essere, nell’aspetto, nello stile e nell’azione, l’esatto contrario di Nicolas Sarkozy, che più della metà  della Francia ha ripudiato dopo cinque anni di prova, con un voto tutt’altro che risicato se lo si colloca nella storia della Quinta Repubblica. Una sentenza elettorale che sembra quasi una scrollata di spalle, per togliersi qualcosa di dosso. Nella storia della Quinta repubblica una sconfitta con quasi quattro punti in meno del vincitore è netta. Indiscutibile. E Nicolas Sarkozy l’ha subito riconosciuto, con dignità , e con un’eleganza che non l’ha sempre accompagnato nei suoi cinque anni come presidente. Ha telefonato a Hollande per complimentarsi e augurargli buona fortuna. 
Hollande si propone di essere un presidente più accessibile, più alla mano, senza venir meno alla funzione che esige una certa solennità . Ha la stoffa, la semplicità  naturale per essere meno arrogante, più rispettoso dell’equilibrio dei poteri, nei confronti del governo, del Parlamento e della magistratura. Non gli sarà  difficile essere meno egocentrico del predecessore, ma non gli sarà  facile eguagliarne l’energia. Consulterà  le parti sociali, che Sarkozy considerava fastidiose. Modificherà  la responsabilità  penale del capo dello Stato e diminuirà  le spese presidenziali. Darà  agli stranieri il diritto di voto nelle elezioni amministrative. È già  molto e non sarà  semplice. È da sottolineare il fatto che la questione del diritto di voto agli immigrati, che pagano la tasse e risiedono da anni in Francia, non abbia sottratto a Franà§ois Hollande l’appoggio di molti elettori del Front National. I quali rappresentavano una forza decisiva, in grado, nel caso di un riporto consistente su Nicolas Sarkozy, di garantire le sua rielezione. Il rancore verso il presidente uscente, per il quale avevano votato cinque anni prima, è stato tanto forte da far preferire a molti di loro il candidato di sinistra. 
Nei propostiti del neo presidente si intravede la Francia che l’ha votato. Non è stata quella ostile alla mondializzazione, in larga parte ansiosa di ristabilire le frontiere, spesso sospettosa verso l’Europa colpevole di ridimensionare il concetto di nazione, e nelle sue punte estreme venata da una xenofobia che Nicolas Sarkozy, per recuperare i voti del Front National, non ha approvato, questo no, ma accarezzato. Come l’avversario vincente, nel suo terroir elettorale, la Corrèze, accarezzava la schiena delle mucche.
La prima prova che Franà§ois Hollande dovrà  affrontare è quella dei mercati. Ed essa avverrà  subito, in anticipo sull’insediamento ufficiale, in programma dopo la proclamazione del 10 maggio, da parte del Consiglio costituzionale. Il denaro non è amico della sinistra. Né lo sono in generale gli investitori. Nel 1981, quando fu eletto Franà§ois Mitterrand, la borsa soffrì. I ribassi furono di due cifre. E i gioielli sparirono, con gli abiti da sera, dalle serate di gala dell’Opéra Garnier. 
I tempi non sono più gli stessi. La guerra fredda e il potente partito comunista, che Mitterrand fece partecipare al primo governo, sono ricordi lontani. I sondaggi hanno annunciato da un pezzo l’elezione di Franà§ois Hollande, e i mercati e gli investitori (i capitali tentati dall’espatrio) dovrebbero averla digerita. Hanno comunque avuto il tempo di analizzare i programmi, le intenzioni, e soprattutto il profilo politico di Hollande. Il quale è un seguace di Jacques Delors, il grande europeista, e considera un suo maestro Pierre Mendès France, il liberale progressista rimasto nella storia politica di Francia come un esempio di sobrietà  e competenza. Hollande è un socialdemocratico con venature cristiane. 
Ed è un liberale sul terreno della morale: è per il matrimonio tra omosessuali e per l’adozione di bambini da parte di una coppia dello stesso sesso. Favorirà  inoltre l’uguaglianza uomo-donna, in particolare per quel che riguarda le retribuzione nelle aziende. Sul terreno fiscale si ripropone di portare al 75% l’imposta sui redditi superiori al milione di euro all’anno. Una decisione che riguarda pochi contribuenti e che potrebbe essere respinta dal Consiglio costituzionale. 
La scelta del primo ministro, non ancora confermata, è significativa. Jean-Marc Ayrault, il nome più gettonato, è sindaco di Nantes e un socialista della corrente moderata, insomma un socialdemocratico, da anni presidente del gruppo parlamentare all’Assemblea nazionale. Una sua virtù, in questo momento preziosa, è quella di conoscere la Germania e di parlarne correntemente la lingua. È infatti professore di tedesco. Ed è con Angela Merkel che Franà§ois Hollande deve affrontare un problema chiave, non solo per la Francia. Il primo viaggio all’estero avrà  come destinazione Berlino, dove il neo presidente proporrà  quello che molti europei si aspettano: di aggiungere o di affiancare al Trattato di stabilità  (Fiscal compact) un capitolo riguardante la crescita. 
Quando Hollande annunciò questa intenzione fu accusato di sabotare, come l’estrema sinistra tedesca, i principi fondamentali di una politica di risanamento basata sull’equilibrio delle finanze pubbliche. Una politica cara al principale partner della Francia, e quindi una minaccia alla sopravvivenza dell’asse franco-tedesco. Nel frattempo le accuse di lassismo rivolte a Hollande (contrario anche alla “regola d’oro” da inserire nella Costituzione) si sono attenuate, poiché il principio di dedicarsi alla crescita e non solo all’austerità  è stato condiviso da molti altri. La stessa cancelliera ha attenuato il suo rifiuto, lasciando intravedere la possibilità  di un compromesso, quando il neo presidente le renderà  visita a Berlino. 
Tra gli uomini di Franà§ois Hollande e quelli di Angela Mertkel si sono del resto moltiplicati in questi giorni contatti riservati. L’ingresso nel palazzo dell’Eliseo del leader di sinistra può dunque aprire un nuovo capitolo nella politica economica europea. Ed anche nei rapporti politici inter europei, poiché Hollande, mantenendo l’intesa franco-tedesca, vuole incrementare quelli con le altre capitali. Desidera insomma allargare il cerchio. E a questo fine prevede un viaggio a Roma, appena il fitto calendario internazionale lo consentirà . Prima della fine di maggio oltre al G8 a Camp David, l’aspetta il vertice della Nato a Chicago, dove annuncerà  il ritiro entro un anno delle truppe francesi dall’Afghanistan. 
Ma l’aspetta anzitutto il “terzo turno” elettorale, le elezioni legislative previste in giugno. Privata del suo leader, Nicolas Sarkozy, che ieri sera ha confermato l’idea di ritirarsi (almeno per ora) dalla vita politica attiva, la destra francese rischia di sciogliersi in numerose correnti. E comunque di lacerarsi nell’analizzare il pesante capitolo del rapporto con il Front National xenofobo, o con i suoi elettori, al quale Nicolas Sarkozy ha fatto compiere un rischioso passo avanti. Le legislative imminenti costringeranno i candidati di destra a scegliere tra lepenisti e socialisti, nei ballottaggi triangolari impliciti nel sistema elettorale. E chi sarà  inoltre il capo della destra sconfitta alle presidenziali, dopo ventiquattro anni (Mitterrand rieletto nell’88 finì il suo secondo settennio nel ’95)? I personaggi in gara sono tanti. E Franà§ois Hollande non dovrebbe avere problemi per avere una maggioranza solida all’Assemblea Nazionale, capace di garantirgli tutti i poteri che perderebbe in caso contrario. E tuttavia la prospettiva di vedere il Front National in una posizione di forza all’opposizione, e in parte sdoganato dalla destra democratica, non può lasciarlo tranquillo. 
Si è ripetuto a lungo, anche tra i socialisti, che Franà§ois Hollande era un “molle”. Troppo gioviale, sfuggente, abile nell’intrattenere amiche e amici ma incapace di sostenere con fermezza le posizioni. Un uomo di sintesi e di compromesso. Persino troppo piccolo, si è detto: 1,71. Ed anche troppo paffutello, prima che perdesse un bel po’ di chili, per rappresentare con estetica dignità  la Quinta repubblica. Ieri sera questo ritratto non si addiceva al presidente che si rivolgeva per la prima volta in questa veste al paese. “Monsieur normal” offriva con la sua solenne semplicità  l’immagine che si propone di imporre alla massima carica dello Stato.


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