La seconda ondata dello tsunami i rottami giapponesi invadono gli Usa

Loading

WASHINGTON – L’invasore arriva dall’incubo antico, dal Giappone, ma è una povera “Armada” di stracci quella che sta attaccando le coste americane del Pacifico. Sono le migliaia di tonnellate di detriti, palloni sgonfi, scatole, pezze, mobilio fradicio, bidoni, relitti e forse resti umani risucchiati dallo tsunami del marzo 2011 che cominciano a raggiungere e lambire gli Stati Uniti. Seguono le rotte di quella invasione giapponese che settant’anni or sono fece tremare l’America e scatenò la psicosi dell’assalto.
Non è certamente il progetto strategico dell’Imperial Alto Comando e dell’ammiragilo Yamamoto, quella flotta che i satelliti, gli oceanografi e le navi della Guardia costiera stanno seguendo ormai da mesi e che comincia a sbarcare le avanguardie sulle coste dell’Oregon, dello stato di Washington e della British Columbia canadese. Ma seguire la rotta degli almeno 5 milioni di tonnellate di rottami che stanno espandendosi e allungandosi verso il nord e l’est vuol dire ripercorrere fedelmente il viaggio delle portaerei e delle corazzate giapponesi nella loro corsa verso Pearl Harbour e poi dei palloncini aerostatici che Tokyo inviava per scaricare bombe sulla California seguendo i venti d’alta quota, che soffiano, in questo emisfero, prevalentemente da ovest a est, dall’Asia verso il continente nordamericano. Già  una nave fantasma, perfettamente galleggiante ma senza uomini, la Ryon-Un Maru è stata individuata da un peschereccio russo e poi affondata dalla Guardia costiera canadese. Era ad appena 300 chilometri dalla British Columbia, dopo aver percorso intatta cinquemila chilometri di mare e attraversato indenne bufere.
Continuerà  per almeno altri tre anni, fino al 2015, con la greve lentezza di una colata. Una parte finirà  intrappolata in quella che i navigatori chiamano «la grande discarica del Pacifico», l’enorme area di Oceano dove milioni di tonnellate di rifiuti girano lentamente dagli anni ‘50 in un languido vortice esteso per centinaia di migliaia di chilometri quadrati, forse più dell’intero Mediterraneo. Il resto, continuerà  la propria inesorabile navigazione, passando con crudele ironia accanto agli atolli e alle isole dove le flotte americane e giapponesi si affrontarono nel 1942 e nel fondo giacciono tonnellate di acciaio affondato. Sul sito della Noaa, l’agenzia governativa americana che si occupa di oceani e di atmosfera, si vede la macchia allargarsi ogni giorno ed estendersi verso la costa americana. Ha ormai superato Midway, dove la flotta americana fermò l’avanzata delle portaerei nipponiche e costrinse il Giappone a invertire la marcia.
Ma la flotta dei detriti non invertirà  mai la rotta. Arrivano, per ora, poche cose. Suppellettili e bottiglie vuote, ritratti di dignitosi antenati in uniforme e di album di foto di famiglia, plastica inaffondabile, legname edilizio, giocattoli, pneumatici, fasciame di barche, tronchi d’albero. I primi a raggiungere gli Stati Uniti e il Canada sono gli oggetti che più facilmente prendono il vento, che corre più veloce delle correnti marine. E galleggiano molti palloni, da calcio, da volley, da basket.
Racconta il Guardian inglese che un pallone da football che aveva raggiunto le isole Aleutine in l’Alaska – il solo pezzo d’America dove l’esercito imperiale riuscì a mettere piede – sfuggendo, come il pallone di Cast Away, al vortice della spazzatura, è stato riconsegnato al proprietario, un bambino di nove anni nella città  di Rikuzentakata, una di quelle investite dall’onda del maremoto.
Non tutti i rottami di questa flotta di stracci, che sembrano i resti del naufragio di una nazione, sono innocui e teneri come i giocattoli e i palloni restituiti. Ci sono migliaia di contenitori e di indistruttibili bottiglie di liquidi tossici, di prodotti chimici, di rifiuti ospedalieri che navigano verso l’America e che piccole flotte di ecologisti e di biologi marini sperano di intercettare e di recuperare prima che vomitino il proprio carico, se già  non lo hanno fatto. «Forse la gente si immagina che questo scaricato dallo tsunami sia un tappeto di detriti che avanza compatto verso di noi, ma non è così» ha detto il direttore del servizio oceanografico delle Hawaii, Jan Hefner. «È materiale sparpagliato su cinque o sei mila chilometri di mare, che è impossibile da fermare e da rastrellare completamente».
Non ci sono, almeno questo, rischi di radioattività , perché l’onda che inghiottì Fukushima si ritirò con il proprio carico di cose e di vite umane prima che avvenisse il “meltdown”, la fusione del nocciolo nella centrale e se qualche traccia di radioattività  è stata trovata nella flotta del disastro, è al di sotto dei livelli di pericolo. Ma ci potrebbe essere, e probabilmente ci sarà , qualche cosa di più triste. I resti di qualcuna delle almeno 19 mila persone che l’onda divorò riportandola con sé verso l’oceano e che le correnti stanno spingendo nel lungo viaggio verso l’America. Sulle coste e le spiagge degli stati dove i primi rottami sono arrivati, sono stati affissi manifesti e avvisi per chiedere che tutto quanto arriverà  sia trattato con rispetto e con pietà  e sia consegnato alle autorità  nel sospetto che si possa trattare di resti di vittime. «Anche gli indumenti vanno trattati con pietà , anche i pezzi di case e i ritratti» implorano gli appelli, perché «non sono souvenir, ma brandelli di storie umane».
Perché anche questa, come tutte le invasioni, porta in sé la morte.


Related Articles

L’ultima goccia di shampoo e dentifricio nasce la confezione che evita lo spreco

Loading

Si butta fino al 25% del prodotto, la rivolta dei consumatori piega le aziende   

Argentina. Inascoltate le proteste, approvata la megaminiera di Chubut

Loading

Estrattivismo minerario. Via libera allo sfruttamento del giacimento d’oro. Gli abitanti in lotta da anni: «Non ci fermeremo». Nel 2003 al referendum l’80% disse di no allo sfruttamento da parte dell’impresa canadese Meridian Gold

Da Nairobi un ultimatum sul clima. Alla conferenza presenti 200 paesi

Loading

Per molti scienzati il riscaldamento del pianeta sta per raggiungere il punto di non ritorno ma i leader politici ignorano

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment