La Sentenza di Rignano Chiuda un Processo che non Doveva Iniziare

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Esultano le maestre di Rignano e i loro presunti complici. Si disperano i padri e le madri di quei bimbi che si sospettava fossero stati abusati e violati in un gioco perverso organizzato proprio da chi avrebbe dovuto educarli e assisterli. Dicono di non aver avuto giustizia e questa convinzione li porterà  probabilmente a insistere, a ricorrere contro la sentenza. A seguire ancora un percorso destinato a causare altri traumi, nuovo dolore proprio a quei piccoli. 
C’erano troppe ombre nelle indagini, troppi «buchi» nella ricostruzione. Ma c’era soprattutto una circostanza che avrebbe dovuto convincere tutti sul fatto che se abusi c’erano stati, non erano imputabili alle maestre e alla bidella della «Olga Rovere». Perché nel disegno dell’accusa un ruolo fondamentale veniva assegnato all’uomo nero, un benzinaio di colore che avrebbe partecipato ai giochi erotici organizzati in almeno due casali di campagna in quella zona che si trova alle porte di Roma. Ma quel disegno è stato presto modificato: banali controlli hanno permesso di accertare che il giovane era completamente estraneo alla vicenda. Eppure questo non è bastato per ritenere che forse era l’intero impianto a dover essere rivisto. E si è deciso di andare avanti, nonostante fosse venuto meno uno dei tasselli principali in mano agli inquirenti.
Le riprese casalinghe dei bimbi interrogati dai genitori e quasi costretti a raccontare le ore passate con le maestre hanno poi generato altri dubbi, nuove perplessità . Quel padre che minacciava la figlia di non volerle più bene «se non dici la verità  perché la maestra è cattiva» hanno svelato come i racconti dei piccoli testimoni fossero stati influenzati, talvolta addirittura pilotati. Ma tutto questo non giustifica la reazione degli avvocati degli imputati che dopo l’assoluzione hanno quasi infierito su quei genitori: «Dovrebbero essere contenti perché si è dimostrato che non sono stati commessi abusi».


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