La sfida di Amr Moussa “Vincerò le elezioni e porterò la democrazia”

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Alle otto di sera di una giornata davvero fuori dell’ordinario, Amr Moussa segue l’andamento del voto, fra il gongolante e il sereno: «Certo, che oggi è un giorno straordinario», la sua voce stentorea arriva al telefono dal Cairo: non solo perché lui spera in un risultato positivo – «O una vittoria o un testa a testa col passaggio al secondo turno» – ma anche perché, continua tutto d’un soffio, «queste elezioni sono l’avvenimento più significativo nella storia dell’Egitto dal 1952, e cioè dalla rivoluzione di Nasser. C’è, però, una differenza fondamentale: allora il cambiamento avvenne attraverso un colpo di Stato, invece ora siamo guidati dalla democrazia». 
Per una parte dei 50 milioni di elettori in Egitto, i suoi vent’anni ai vertici della diplomazia egiziana non l’hanno logorato, prima alle Nazioni Unite, poi agli Esteri, poi catapultato alla guida della Lega Araba. E forse gli giova in queste ore il ricordo che il suo spostamento alla Segreteria della Lega sia stato interpretato, con una punta di malizia, come il viatico amministrato da Mubarak a un concorrente troppo popolare. Mediatore ideale per alcuni, è parte dell’establishment – un “fouloul”, un reduce del regime, secondo i rivali. Ha carisma e – questa è forse la sua arma più formidabile – è simpatico ai giovani, per quella sua vecchia abitudine di calare tra la moltitudine di studenti. Ancora a 75 anni, Moussa era sceso fra i manifestanti a piazza Tahrir.
Cosa promette al nuovo Egitto, che esce frammentato dalla rivoluzione?
«Non è una mia promessa, è una svolta evidente: questo giorno segna un cambiamento epocale nel Paese. Da questo nascerà  la Seconda Repubblica egiziana, guidata dalla democrazia. Spero che sia una repubblica efficiente, stabile, funzionante».
E lei si aspetta un buon risultato dalle urne?
«Secondo i nostri calcoli, io sto procedendo bene. C’è un’ottima possibilità  che io vinca, oppure che il voto finisca con un testa a testa; in quel caso passerei al secondo turno, per andare al ballottaggio. In entrambi i casi, il risultato è positivo. Intanto, aspettiamo e vediamo».
Non la preoccupa il fatto che le elezioni presidenziali si svolgano nell’assenza di una Costituzione definitiva? Che il suo programma si riveli impraticabile alla luce di una futura carta costituzionale? 
«Niente affatto. Già  esiste un documento programmatico, un accordo riguardo alle linee fondamentali della Costituzione, e riguardo ai poteri che spettano al Presidente. Restano da chiarire gli ultimi dettagli, però una cosa è certa: stiamo parlando di un sistema politico presidenziale».
Nelle urne è in gioco anche l’identità  dell’Egitto, il futuro di un Paese laico, contro una deriva teocratica impressa dagli islamisti?
«Dimenticate la teocrazia. L’identità  dell’Egitto è, e sarà , una: un Paese laico e democratico. E, possibilmente, ben funzionante. Lo so, gli islamisti stanno distribuendo sacchi di riso e taniche di olio da cucina, promettendo il Paradiso. Ma la gente non è stolta; mi creda, è esperta: sa che questa elezione è cruciale: non si farà  sviare da una botte di olio o dalla promessa di un paradiso».


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