L’apprendistato piace solo alle imprese “Pochi assunti, creerà  altri precari”

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ROMA – L’estero insegna: dove l’apprendistato funziona i ragazzi trovano lavoro. Importare il modello in Italia, il Paese europeo con più giovani inattivi, è una delle idee di Elsa Fornero. L’effetto della sua riforma, attesa dal voto di fiducia in Senato, potrebbe però essere diverso. Perché a spingere gran parte delle aziende italiane ad assumere apprendisti, più che la volontà  di far crescere validi collaboratori sono ragioni economiche. E rendendo questo contratto ancora più conveniente il ddl lavoro rischia di incrementare i numeri, ma senza incidere sulle competenze: «L’apprendistato resterebbe un’alternativa al contratto flessibile anziché uno strumento di formazione qualificata», avverte Michele Tiraboschi, professore di Economia all’Università  di Modena e Reggio Emilia.
In Italia dal 2009 al 2010, per effetto della crisi, i giovani apprendisti sono diminuiti da 645mila a 541mila. A calare sono stati soprattutto i contratti in diritto-dovere, quelli che portano gli under 19 ad ottenere un diploma: dimezzati, da 278mila a 142mila. «I giovani preferiscono sempre di più il liceo – spiega Tiraboschi – al contrario che in Germania, in Italia l’apprendistato è solo per maggiorenni». Non a caso, la provincia dove più ragazzi scelgono di andare a bottega, quasi il 15%, è quella di Bolzano. «È la cultura il fattore più importante – spiega l’assessore alla formazione Christian Tommasini – Sono soprattutto i madrelingua tedesca a scegliere questa strada perché per loro il lavoro artigianale ha un alto valore sociale». 
La forma più diffusa di apprendistato, da noi, resta quella professionalizzante, per ragazzi già  diplomati. Durante la crisi ha retto, 400mila contratti, e da quest’anno dovrebbe salire. Il Testo Unico varato a settembre semplifica la normativa e l’ultima Legge di stabilità  introduce ulteriori sgravi fiscali per le aziende. Rendendo più onerosi i contratti precari, la riforma Fornero si muove sulla stessa linea: «Ma all’estero lo scopo dell’apprendistato non è solo creare lavoro – dice Tiraboschi, – bensì creare lavoro di alto livello». In Italia il compito di definire i percorsi formativi spetta a Regioni e parti sociali, industriali e sindacati. «Mancano le persone con le competenze adatte a farlo – prosegue – molti accordi firmati sono vaghi su aspetti essenziali come il tutor o il libretto formativo». Dei giovani apprendisti, rivela l’Istat, solo uno su quattro è coinvolto nei corsi di formazione pubblici, erogati dalle Regioni. Per tutti gli altri ci si affida a quelli interni delle aziende. Che per la maggior parte però, l’88% secondo uno studio di Gi Group, scelgono l’apprendistato per motivi economici più che per formare ad hoc i lavoratori. «La riforma mette dei paletti, ma a mancare davvero è il sistema», commenta il professore. Le assunzioni, termometro di efficacia dell’apprendistato, sono diminuite: tra chi ha iniziato nel 2005, cinque anni dopo gli inoccupati erano il 22,2% (+3,5 punti), con il 5% in più di contratti precari. Una novità  potrebbe arrivare dal coinvolgimento delle agenzie per il lavoro. Lunedì sarà  presentato un emendamento alla riforma che estende l’apprendistato tramite le agenzie a tutti i settori professionali, anche industria e artigianato, finora esclusi. «Sarebbe positivo – conclude Tiraboschi – perché queste possono sostenere le aziende sia per la burocrazia che per la formazione».


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