«Così è stato preso il maggiordomo» In casa dossier pronti per la consegna

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ROMA — I tasselli che avevano raccolto nelle ultime settimane sembravano combaciare alla perfezione. E così, quando sono entrati nell’appartamento di via di Porta Angelica, gli agenti della Gendarmeria vaticana sapevano esattamente dove cercare, soprattutto che cosa. Erano consapevoli del clamore che quell’irruzione avrebbe suscitato in tutto il mondo e dopo aver ottenuto il via libera delle alte gerarchie, hanno pianificato i dettagli dell’operazione. Nella consapevolezza di non poter fallire. Perché avevano già  la conferma che lettere e documenti segreti erano custoditi tra quelle mura dove Paolo Gabriele vive con la moglie Manuela Citti e i tre figli. Ben prima di effettuare la perquisizione conoscevano gli atti che il maggiordomo del Papa custodiva a casa. E avevano la certezza che altre consegne stessero per essere effettuate.
I nomi dei destinatari
L’arresto è dunque servito a impedire che nuove carte riservate fossero portate all’esterno della Santa Sede e, presumibilmente, rese note. Comunque utilizzate in una guerra interna al Vaticano che ha già  avuto numerose ripercussioni anche fuori da quelle mura. Misura preventiva che rappresenta soltanto una tappa in questa ricerca della verità  avviata dopo la pubblicazione di carte riservate. E potrebbe non essere sufficiente a fermare ulteriori «fughe». Perché la «rete» che si è mossa all’ombra della segreteria di Stato e dell’entourage più stretto dello stesso Papa Benedetto XVI appare in parte ricostruita, però ci sono altri responsabili da individuare, altri presunti colpevoli da fermare.
Le indicazioni già  raccolte dagli investigatori coordinati dal comandante Domenico Giani appaiono comunque sufficienti a comprendere quale fosse il «sistema» messo in piedi per veicolare informazioni e atti ufficiali. Su alcuni plichi c’erano infatti annotazioni che riguardano coloro che avrebbero dovuto ricevere gli incartamenti. Prelati, ma anche giornalisti e personaggi ben inseriti negli ambienti del mondo cattolico che avrebbero potuto utilizzare — ognuno con scopi diversi — i nuovi documenti trafugati all’interno degli uffici vaticani. Una catena di cui Gabriele appare soltanto un anello e neanche quello più forte. Ma è proprio per chiarire il suo ruolo che bisogna ripercorrere quanto accaduto qualche mese fa, quando nessuno sapeva che i «corvi» avevano già  cominciato a volare.
La vecchia segnalazione
Nei viaggi ufficiali come nella vita di tutti i giorni, nelle cerimonie ma anche durante le vacanze, Gabriele era sempre accanto al Pontefice. E proprio questa sua vicinanza può averlo trasformato in una fonte preziosa per chi — anche soltanto per riempire le cronache giornalistiche — aveva necessità  di carpire un dettaglio inedito, una curiosità  sulle abitudini private di Benedetto XVI. O forse qualcosa di più, come le indiscrezioni su quanto accadeva tra le alte gerarchie ecclesiastiche, retroscena sugli scontri che si sono consumati in questi mesi, informazioni anche di carattere personale su alcuni prelati. Circa sei mesi fa qualcuno aveva segnalato la eccessiva familiarità  di Gabriele con persone esterne alla Chiesa. Ma in quel momento il maggiordomo godeva ancora della massima fiducia e le voci sul suo conto furono presto messe a tacere, addirittura allontanando colui che si era permesso di sospettare sulla sua assoluta fedeltà .
Quando è cominciata la pubblicazione di lettere e documenti su giornali e tv, i sospetti si sono così concentrati sulla Segreteria di Stato. L’ipotesi più accreditata assicurava che proprio da quelle stanze fossero cominciate le «fughe». I controlli, le intercettazioni i pedinamenti si sono concentrati su alcuni funzionari che rimangono sotto osservazione ma nei confronti dei quali non è stata ancora trovata una vera prova. La vera svolta è arrivata quando è stato pubblicato «Sua Santità », il libro di Gianluigi Nuzzi. E si è scoperto che alcune lettere ottenute dal giornalista non erano mai uscite dall’appartamento papale. Dunque, proprio lì bisognava cercare. Nella iniziale rosa dei sospettati sono finiti tutti, comprese le quattro Memores Domini di Comunione e Liberazione che vivono con Benedetto XVI. Ma poi è arrivata l’indicazione giusta, qualcuno parla di una «soffiata» decisiva. E l’attenzione si è concentrata su Gabriele.
Gli altri complici
La scelta di contestargli soltanto il furto e non l’attentato alla sicurezza del Pontefice fa ben comprendere come il maggiordomo sia ritenuto — almeno fino a questo momento — soltanto un esecutore di ordini. Pedina di un gioco più grande che i suoi avvocati assicurano sia disposto a svelare. Mentre c’è chi dice che abbia già  cominciato a farlo. In queste ore si è parlato addirittura di una ventina di persone che avrebbero maneggiato e veicolato documenti segreti. In realtà  l’indagine si concentra su quattro, cinque persone interne alla Santa Sede con ruoli e mansioni diverse.
Dieci giorni fa con un comunicato pubblicato sull’Osservatore Romano, la Santa Sede ha annunciato la presentazione di una denuncia per «sottrazione e pubblicazione di documenti che rappresenta una violazione dei diritti personali di riservatezza e di corrispondenza di Benedetto XVI, dei suoi collaboratori e dei mittenti di messaggi e fax a lui diretti». Un’iniziativa che avrebbe dovuto coinvolgere le autorità  italiane attraverso il ministero della Giustizia, ma che al momento non risulta ancora intrapresa. La scelta sarebbe quella di attendere l’esito dell’indagine svolta dalla Gendarmeria in modo da poter segnalare l’elenco di tutti i cittadini italiani che si ritiene siano coinvolti nella vicenda e che dovrebbero essere eventualmente indagati dalla Procura di Roma. Non solo chi ha pubblicato le carte segrete, ma anche coloro che si sono adoperati per farle uscire oppure hanno accettato il ruolo di mediatori per le consegne. Anelli di quella catena che non appare affatto spezzata.


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