«Deve essere pronto un piano B se la Grecia uscisse dall’euro»

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Debutto in terreno minato, ieri sera a Bruxelles, per Franà§ois Hollande in Europa. La cena del vertice informale dei 27, che non prevede nessuna decisione concreta, è stata preceduta da voci, contro-voci e fatti estremamente preoccupanti. I mercati finanziari in agitazione, indiscrezioni su un «piano B» degli sherpa dei ministri delle finanze, che avrebbero invitato ogni paese della zona euro a studiare lo scenario dell’uscita della Grecia dall’euro, dichiarazioni contrastanti, soprattutto tra Parigi e Berlino. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha chiesto un discorso «senza tabù», per preparare il meglio possibile il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, dove dovranno, contrariamente a ieri sera, essere prese delle decisioni concrete. Hollande ha messo sul tavolo delle proposte per rilanciare la crescita. «Nessuna proposta deve essere scartata in via di principio – ha affermato – a fine giugno ci devono essere delle decisioni e non dobbiamo perdere tempo». La zona euro corre il rischio di «recessione», ha insistito il presidente francese. La mina greca deve essere disinnescata, per rilanciare la crescita. Angela Merkel fa finta di non sentire. Ieri ha ancora ripetuto che non solo non ci sarà  «nessuna decisione» immediata, ma che la soluzione degli eurobond «non contribuisce a rilanciare la crescita». I ministri delle finanze e alcuni stati membri hanno scelto di fare pressione al massimo sui cittadini greci, perché «votino bene» il 17 giugno. In molte capitali ci sono forti dubbi sull’efficacia di questa strategia. Ma la Germania e i suoi alleati rigoristi hanno deciso di minacciare il bastone nei confronti di Atene, senza far intravvedere nessuna carota. Nei fatti, tutti i paesi hanno già  fatto i calcoli su quanto costerebbe l’uscita della Grecia dall’euro: tra prestiti bilaterali, obbligazioni sovrane, garanzie al Fesf (il fondo salva-stati), sistema di pagamento transeuropeo delle banche centrali nazionali, prestiti privati, la Francia ci rimetterebbe più di 60 miliardi, la Germania 85, l’Italia 55, la Spagna 36, l’Olanda 17, il Belgio 10, addirittura alle piccole Estonia e Malta costerebbe fino al 4,5% del pil. Per di più, Christine Lagarde dell’Fmi ha ricordato ieri che esiste un serio «rischio di contagio» ad altri paesi, già  incipiente, con un avvio di bank run arrivato in Spagna. La Bundesbank continua a gettare acqua sul fuoco cercando di calmare i mercati, con l’affermazione che «l’eurozona tiene anche senza Atene». Ieri, ci si è messo anche il ministro degli esteri italiano, Giulio Terzi, che ha ammonito: «Bisogna essere molto chiari sulle conseguenze drammatiche dell’abbandono dell’euro» da parte della Grecia. Eppure, dietro questo disordine, le complesse strutture dell’Ue si stanno muovendo. I Project Bonds sono in via di attuazione, con un finanziamento di 230 milioni, che per l’effetto leva dovrebbero superare i 4 miliardi: sono già  stati individuati i progetti-pilota (cinque-dieci), nei campi dell’energia, Internet e trasporti. Si tratta di un primo allenamento in vista degli eurobond futuri, che porterebbero a una diminuzione di tensione sui tassi di interesse (oggi la Germania prende a prestito a tasso quasi zero, la Francia intorno al 3%, la Spagna al 6, la Grecia al 20). La Germania ha accettato di non recuperare i soldi non spesi dei Fondi strutturali, che potranno venire investiti, così come l’aumento del capitale della Bei.


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