L’inferno nelle vie di Damasco

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Aveva ragione padre Paolo Dall’Oglio, animatore da molti anni della comunità  monastica di Mar Musa, rispondendo il mese scorso alle domande di un sito d’informazione italiano. Al giornalista che parlava di «sollevazione popolare» contro il regime di Bashar Assad, Dall’Oglio aveva replicato che in Siria c’è la guerra civile «da giugno del 2011». Le considerazioni del religioso gesuita ieri hanno trovato una nuova conferma. Un duplice attentato eseguito da due kamikaze a bordo di autobomba – più di 1.000 kg di esplosivo – ha fatto strage di civili, tra cui tanti studenti, alla periferia di Damasco: 55 morti e 372 feriti. La tv di stato ha mandato in onda immagini di corpi dilaniati, di feriti insanguinati, di decine di carcasse annerite di automobili. La tangenziale è stata quasi tagliata di due dalle esplosioni, così potenti che hanno quasi demolito una palazzina, appartenente, pare, ad un complesso delle forze di sicurezza, forse l’obiettivo principale dell’attacco. 
È guerra civile in Siria, occorre riconoscerlo. Inutile, anzi dannoso, parlare di «insurrezione popolare», perchè impedisce la comprensione di ciò che realmente sta accadendo sul terreno e di individuare gli attori interni ed esterni di questa crisi. In Siria non ci sono più, e da tanto, le manifestazioni pacifiche della primavera di un anno fa a Damasco e in altre città , organizzate da giovani attivisti, spesso via facebook, come era accaduto nelle rivolte in Egitto e Tunisia. In Siria parlano le armi ed entrambe le parti in conflitto violano il cessate il fuoco entrato in vigore ad aprile. L’opposizione attribuisce, lo ha fatto anche in questa occasione, tutte le responsabilità  al regime di Assad, parla di attentati organizzati proprio dai servizi di sicurezza e della svolta armata della protesta come di una inevitabile reazione alla pesante repressione attuata dal regime. «Ogni esplosione che è avvenuta in Siria e che si verificherà  in futuro, porta le impronte di questo regime e delle sue bande», denunciava ieri la Corrente per il cambiamento nazionale, una delle formazioni dell’opposizione. Ma le cose stanno davvero così, sono bombe di regime anche quelle esplose ieri? 
I crimini di Assad e delle forze armate sono davanti agli occhi di tutti, è sufficiente ricordare le migliaia di morti e il bombardamento devastante di Baba Amr a Homs. Ed è anche chiaro che nessuna soluzione politica della crisi potrà  riportare la Siria indietro all’inizio del 2011, lasciando il regime al potere come se nulla fosse accaduto. Allo stesso tempo descrivere i ribelli come scolaretti in gita, poco armati e poco addestrati, è un fuorviante. Così come è pericoloso minimizzare che l’estremismo religioso (e con esso il settarismo) – sponsorizzato generosamente dall’area del Golfo – conquista terreno ogni giorno che passa. Nella regione tutti sanno che i jihadisti si sono spostati dall’Iraq in Siria per combattere contro gli «apostati» sciiti al potere e riportare Damasco sotto il controllo sunnita. Occorre ricordare che in Siria si sta combattendo anche una guerra a distanza tra i paesi del Golfo e l’Iran, alleato di Assad, e riconoscere che il Qatar e l’Arabia saudita non agiscono in sede di Lega araba contro Damasco in nome dei diritti e della libertà  dei siriani ma vogliono solo garantire i loro interessi regionali. 
Eppure i media internazionali continuano a ripetere da 14 mesi la favola dell’Orco cattivo e dei bambini buoni che alla fine vinceranno mentre è evidente che è stata tolta l’iniziativa e la parola ai dissidenti storici, come Michel Kilo e Anwar Bunni, che hanno lottato nel loro paese e pagando con anni di carcere la condanna del regime siriano. Parola che è stata data, come un assegno in bianco, a chi come Burhan Ghalioun, del «Consiglio nazionale siriano», comodamente fuori dalla Siria lavora per il fallimento del piano di pacificazione di Kofi Annan e per un attacco Nato. «Vorremmo discutere il destino del piano Onu di Kofi Annan dato che continuiamo a vedere violenze del regime contro la gente», ha annunciato ieri Burhan Ghalioun, a capo del Consiglio nazionale siriano (Cns), parlando del suo prossimo arrivo in Italia. Roma si prepara a dargli sostegno visto che il ministro degli esteri Giulio Terzi rilancia l’idea di un intervento militare e ipotizza l’invio in Siria di una forza «più robusta», fino a 2-3000 uomini armati. Ipotesi che la Russia difficilmente accetterà , visto che si prepara a presentare al Palazzo di Vetro una risoluzione di condanna degli attentati – incluso quello di due giorni fa che, solo per un miracolo, non ha colpito gli osservatori dell’Onu – e non di Bashar Assad come vorrebbero gli Usa e i loro alleati. Cade nel vuoto l’appello alla fine delle violenze lanciato da Kofi Annan. 
In questo quadro insaguinato è passata inosservata la notizia che il Fronte dell’Unità  nazionale, ossia il Partito Baath al potere e i suoi satelliti, ha vinto le elezioni legislative non solo a Damasco, ma a Daraa e Idlib, roccaforti delle proteste anti-regime. Il risultato di queste prime elezioni con sistema multipartitico,boicottate totalmente dalle opposizioni è destinato a non avere alcun impatto.


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