L’infinita odissea dei rifugiati iracheni in fuga dalla fuga

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Il maestro Ali è un musulmano praticante e sunnita che vive nel paese di Jbab, governatorato di Deraa (considerato roccaforte dell’opposizione al governo), a 40 minuti di pulman da Damasco. 
A Damasco, nel quartiere di Jaramana, la sera gli iracheni (uomini) si ritrovano a giocare a scacchi e bere tè sotto una grande tenda arredata, allestita due anni fa da uno di loro. Il numero (fluttuante) di iracheni rifugiati in Siria è di oltre 1.100.000 persone più 300mila prive di status (aggiungiamoci moltissimi palestinesi e libanesi). Damasco ha sempre concesso permessi di soggiorno rinnovabili ma questa enormità  di rifugiati è certo un peso. Saliti i prezzi degli affitti e delle case, aumentati i fenomeni di delinquenza, disagio, prostituzione. A parte i (pochi) aiuti alimentari forniti dall’Unhcr, l’assistenza sanitaria gratuita come la scuola pure gratuita (ma molti bambini iracheni non ci vanno e lavorano), questi rifugiati teoricamente non possono lavorare; comunque l’occupazione al nero è tollerata e onnipresente (magari si ricorre a prestanome siriani). Saad (di Baghdad) gestisce una lavanderia: «Siamo scappati in Siria perché qui era più facile essere accolti, la vita costava poco, eravamo vicini al nostro paese e le tradizioni sono simili. Ma adesso vediamo che si danno appoggi ai gruppi di fanatici come quelli che ci hanno fatto partire dall’Iraq. Volete bruciare la Siria con tutti i suoi abitanti? Molti iracheni stanno cercando di andar via. C’è anche una politica per farne andare un po’ in Turchia a gonfiare le cifre sui rifugiati dalla Siria». 
Sotto la tenda-bar, il signor Abdel Fatteh spiega che a causa delle sanzioni bancarie è adesso difficile ricevere la pensione dall’Iraq. «Sono venuto qua nel 2006 con mia moglie e tre figli per il pericolo di attentati, le violenze settarie, i rapimenti…Adesso rivedo tutto qui». Majid è arrivato nel 2007 con moglie e cinque figli dopo che altri tre gli sono stati uccisi; uno dopo un rapimento, e due gemelle in un’esplosione in città . Lavora come piccolo commerciante ma la crisi della Siria ha danneggiato tutti. Ha fatto l’intervista per trasferirsi…negli Stati Uniti.
Rimarrà  invece a Homs e non tornerà  nel paese dell’Est europeo che ha lasciato 29 anni fa con il marito siriano la signora M. Attualmente in visita a Damasco, chiede di non precisare né il suo paese d’origine né il quartiere in cui vive perché «credo di essere una delle pochissime straniere ancora lì e rischio». Torna spesso a casa e anche là  c’è disinformazione sulla Siria. Ecco la sua versione dell’«assedio a Homs»: «Dove vivo ci sono sunniti come è mio marito, alaouiti, cristiani : siamo circondati su tre lati da quartieri che si erano riempiti di gruppi armati, soprattutto Khalidyia. Noi chiedevamo più presenza dell’esercito, perché era rischioso uscire dal quartiere, mia figlia non è più andata all’università , tanti non andavano al lavoro. Per poter viaggiare fuori Homs hanno riattivato la vecchia stazione delle corriere, in una zona tranquilla. C’era un grande rischio per via dei cecchini, mio marito medico in pensione un giorno ha soccorso una donna colpita di striscio in strada». Ma dicono che sono tiratori del regime…«Ci sono diversi video in cui i terroristi rivendicano le loro azioni – perfino decapitazioni, impiccagioni – e le mostrano anche». Ma a febbraio l’esercito ha bombardato Homs e Khalidya uccidendo civili? «Certo c’è stata battaglia – non si poteva lasciare un’intera area nelle loro mani – e molte case sono danneggiate. Da Baba Amr e Khalidyia i civili se ne erano andati quasi tutti. Ma i terroristi avevano preso ostaggi, scudi umani che una volta liberati hanno raccontato la loro storia». 
Gaith («Pioggia») è studente alla facoltà  di odontoiatria a Damasco e va a Homs tutti i mesi a trovare la famiglia abitante nel quartiere Al Zahra. Ecco la sua versione. «Il mio quartiere era quasi accerchiato, era pericoloso uscire per andare a lavorare altrove; si rischiavano rapimenti, uccisioni di alaouiti, cristiani, e sunniti che non stavano con i terroristi. Da Khalidya e Bara Amr arrivavano a Zahra e Akrama attacchi come quello che ha ucciso il giornalista francese. Prima di febbraio l’esercito non c’era a Homs, c’era solo la polizia. Il governo aveva mandato in quei quartieri dei religiosi per negoziare ma non hanno voluto; volevano fare un’altra Bengasi. Allora è arrivato l’esercito». I media dicono che l’esercito ha ucciso tanti civili a Homs… «Dei civili sono morti fra i due fuochi. Ma in genere gli uccisi non erano civili, erano ben armati». E la strage di Karm Zeitoun, tutti quei morti che abbiamo visto negli orribili video diffusi in marzo? «Sono stati i terroristi. L’hanno detto anche i parenti sopravvissuti».


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