«Non ci faremo zittire»

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Ed è Giorgio Cremaschi a dargli il nome che tutti hanno in testa: «in Italia c’è un liquame reazionario che si può permettere Brindisi perché è sempre rimasto impunito; come l’assoluzione di pochi giorni fa, per la strage di Brescia, dimostra». Anche per questo, nella storica sala dei Frentani, il modo in cui la Cgil ha affrontato le «riforme» del governo tecnico proprio non va giù. C’è qualcosa di nuovo, però, a cominciare dalla composizione. Non ci sono solo i «reprobi» de La Cgil che vogliamo , l’area programmatica coordinata da Gianni Rinaldini, maggioritaria soprattutto tra i metalmeccanici della Fiom. Non ci sono soltanto quelli delle Rete28Aprile, che di quell’area, scalpitando sempre un po’, fanno parte. Stavolta ci sono anche quelli di Lavoro e società , la componente di sinistra della maggioranza «camussiana» che nell’ultimo Direttivo nazionale ha però votato contro l’attendismo del segretario. Le ragioni le spiega direttamente Nicola Nicolosi, membro della segreteria confederale, attaccando «le politiche del governo Monti, in continuità  con quelle di Berlusconi». È l’intero rapporto «con la politica» a esser messo sotto accusa. «La mediazione tra Monti, Alfano, Bersani e Casini non può essere riportata nel sindacato; bisognava dire no a quella mediazione». Anche perché su temi come l’art. 18 «i lavoratori capiscono benissimo cosa perdono». Il sindacato deve insomma «essere autonomo dalla politica, altrimenti rischia di essere confusa con essa». I delegati e dirigenti Cgil qui riuniti «rivendicano la prosecuzione della battaglia in difesa dei diritti, a partire dall’art. 18 e dalle norme sul mercato del lavoro, utilizzate da mesi dal governo come grimaldelli per abbattere il sistema di tutele e garanzie sociali». E, preannunciando la richiesta che farà  personalmente già  domani nella riunione della segreteria confederale, «la Cgil ha il dovere di dare voce alla sua base, che chiede da un lato il ripristino della ‘reintegra’ prevista dall’art. 18 e dall’altro norme sul mercato del lavoro contro la precarietà  e a favore degli ammortizzatori sociali: la partita sul disegno di legge del ministro del Lavoro deve rimanere aperta fino ad arrivare allo sciopero generale». Sciopero del resto già  proclamato dal Direttivo nazionale, non «per una riforma fiscale», o almeno non solo, ma per fermare l’iter che sta portando il Parlamento ad approvare una «riforma» del mercato del lavoro che – dicono più delegati – «è peggio degli anni ’50». E meno il movimento sindacale si fa valere, più la situazione diventa pericolosa. Anche senza bombe.


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