Lo sciopero della fame non schiude le carceri

by Editore | 5 Maggio 2012 12:35

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Deboli dopo oltre 60 giorni di sciopero della fame, i due prigionieri politici hanno seguito l’udienza sulla sedia a rotelle. Diab a un certo punto ha avuto un malore ed è stato portato d’urgenza all’ospedale. «La detenzione amministrativa è una morte lenta», ha detto ai giudici Halahla, in prigione da 22 mesi senza mai aver subito un processo. «Voglio vivere la mia vita con dignità . Ho una moglie e una figlia e desidero stare con loro. Per questa ragione sto facendo lo sciopero della fame», ha aggiunto. I famigliari di Diab e Halahla speravano in una decisione immediata ma i giudici israeliani daranno una risposta solo la prossima settimana. «Sono inorridito per le continue violazioni dei diritti umani nelle prigioni israeliane», ha commentato l’ex relatore dell’Onu Richard Falk, richiamando il governo Netanyahu al rispetto del diritto internazionale.
Nelle carceri israeliane perciò andrà  avanti «La battaglia degli stomaci vuoti», lo sciopero della fame che coinvolge un numero crescente di detenuti politici, decisi a seguire l’esempio dato nei mesi scorsi da Khader Adnan e da Hana Shalabi. «Noi rifiutiamo il metodo della detenzione amministrativa – ha dichiarato Adnan dopo la sua liberazione, il 17 aprile – ci appelliamo a tutto il mondo libero a sostenerci nella battaglia per fermare l’uso di questa pratica. Questo non significa che sotto occupazione militare le detenzioni normali di palestinesi (non amministrative, ndr) siano legittime». 
Halahla e Diab fanno parte di un gruppo di quattro prigionieri che digiunano da due mesi, altri dieci hanno cominciato a rifiutare il cibo 40 giorni fa. Infine il 17 aprile 1.200 detenuti hanno avviato lo sciopero della fame e il numero è andato aumentando con il passare dei giorni. Secondo Ehteram Ghazawneh di Addameer, la ong palestinese che assiste i prigionieri politici, poco meno della metà  dei circa 5000 detenuti politici fanno lo sciopero della fame contro l’uso della detenzione amministrativa (che al momento riguarda 300 palestinesi), per ottenere la fine della pratica dell’isolamento e per consentire ai prigionieri provenienti da Gaza di ricevere visite dai loro familiari. 
Addameer denuncia anche l’adozione di misure punitive contro i detenuti. Tra i prigionieri in sciopero della fame c’è Ahmed Saadat, il leader del Fronte popolare, condannato come mandante politico dell’uccisione, nel 2001, del ministro israeliano Revaham Zeevi. Per la portavoce delle autorità  carcerarie, Sivan Weizman, invece i palestinesi in sciopero della fame sarebbero «solo» 1.450. Ma i numeri contano fino ad un certo punto perché lo sciopero ha innescato forti reazioni tra i palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Alle manifestazioni fuori dal carcere militare di Ofer (Ramallah) – con feriti e arresti tra i dimostranti palestinesi – si aggiungono i sit in di protesta davanti alla prigione di Ramla, in Israele.
In questi giorni c’è un anche prigioniero italiano in lotta contro una sorta di detenzione amministrativa in cui viene tenuto da quasi un mese. Si tratta di Marco (preferisce non rendere noto il cognome), arrestato l’11 aprile a Hebron assieme ad altri stranieri. Marco rifiuta l’espulsione perché, ripete sin dal primo giorno, non ha commesso alcun reato. E i giudici in effetti gli hanno dato ragione, lasciandolo però in cella almeno fino al 7 maggio.

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