Ma i duri di Askatasuna chiudono ai terroristi “Autistici e narcisisti, sono nostri nemici”

by Editore | 16 Maggio 2012 9:16

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TORINO – Autistici, narcisisti, nichilisti. Soprattutto, vittime dei metodi di spettacolarizzazione dei media, gente che «si guarda l’ombelico pensando di fare altro, e magari se lo guarda in televisione, come sta facendo in questi giorni chi ha scritto la rivendicazione». Eccolo il giudizio di Askatasuna – il centro sociale che ormai è il vero cuore politico della protesta in val di Susa – sugli attentatori di Genova. Un giudizio duro, a tratti sprezzante. Un giudizio meditato: «Abbiamo voluto aspettare qualche giorno – dicono i militanti del centro – perché non ci piace entrare nel tritatutto dei media su quella storia».
Se chi ha ferito Adinolfi sperava di raccogliere proseliti in val di Susa, è probabile che si sia sbagliato di grosso. Il giudizio del centro sociale torinese è venuto dopo una lunga serata di discussione. La fase è molto delicata. Ci sono stati arresti per gli assalti ai cantieri valsusini della scorsa estate, la pratica della violenza ha finito per ridurre l’area di consenso e sono molti quelli che temono l’appiattimento mediatico di quella violenza sull’attentato di Genova. L’equivoco sulle parole del ministro Cancellieri («La Tav è la nostra maggiore preoccupazione») sembrava andare in quella direzione. Per questo lunedì sera era importante prendere una posizione: per smascherare il gioco e smarcarsi. «L’episodio di Genova non c’entra, non ha connessioni con le lotte della val di Susa e del resto d’Italia, da Napoli a Termini Imerese». E però, dice Askatasuna «l’eco del gesto di Genova può essere usato contro le lotte». L’attentato ad Adinolfi come una provocazione contro i movimenti?
Il centro sociale torinese non attribuisce l’azione terroristica ad apparati deviati dello Stato: «C’è piuttosto la mano di chi è prigioniero del proprio autismo», dicono i militanti di Askatasuna, giudicando chi ha ferito il dirigente dell’Ansaldo «una vittima dell’individualismo esasperato», gente che «ha come unico interlocutore il grande satana dei media». Il ferimento di Roberto Adinolfi diventa così un’operazione mediatica, un modo per distrarre il movimento dai suoi obiettivi. Si spiega così il giudizio sprezzante sull’attentato al dirigente dell’Ansaldo: «In questi giorni si è fatto un gran parlare di un episodio di scarsa rilevanza politica, sociale e persino sanitaria».
Sarebbe sbagliato pensare che questa posizione sull’attentato di Genova coincida con una revisione delle tradizionali posizioni di Askatasuna, che si pone certo, a differenza dell’area anarchica, il problema di ottenere consenso nell’opinione pubblica: «Sfatiamo il mito per cui cercare consenso equivale ad ammorbidire le posizioni», dicono i militanti del centro sociale torinese. Quel che conta, per quello che è diventato uno dei principali centri dell’area autonoma in Italia, è «riuscire a sperimentare mobilitazioni che incrinino rapporti di forza nella società ». È la classica contrapposizione tra anarchia e autonomia, una storia lunga un secolo che oppone i sostenitori del gesto individuale e della propaganda del fatto ai teorici della lotta di massa e dell’allargamento del consenso. Sulla questione il giudizio di Askatasuna è lapidario: «Se non ci sono soggetti sociali ma monadi individualistiche, là  dove regna l’autismo, non si pone il problema della vittoria»

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