Mezza vittoria contro il carcere senza processo

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«Quest’anno la commemorazione della Nakba ha un aspetto positivo – diceva ieri Aghsan Barghouti, un attivista di «Herak Shebabi», il movimento giovanile indipendente, giunto assieme ad altre centinaia di ragazzi davanti alla prigione militare israeliana di Ofer, vicino Ramallah. «La vittoria ottenuta dai nostri prigionieri politici conferma che i palestinesi hanno una tremenda capacità  di resistenza e che non dimenticheranno mai i loro diritti», spiegava Barghouti, membro di una delle famiglie della Cisgiordania che ha dato tanti esponenti alla politica e alla società  civile. La prigione di Ofer è stata uno dei punti principali delle iniziative organizzate per la Nakba, perché simbolo della «detenzione amministrativa» (il carcere senza processo) contro cui si sono battuti prigionieri politici palestinesi attuando un lungo sciopero della fame. 
Una battaglia che ha portato a risultati importanti ma che non autorizzano a parlare di «vittoria piena», così come celebravano ieri nei Territori occupati e anche all’estero i tanti che hanno sostenuto la protesta dei detenuti in sciopero della fame. Certo, non è poco aver strappato migliori condizioni di vita in carcere. Così come è significativo il diritto dei prigionieri di Gaza detenuti in Cisgiordania di poter incontrare i famigliari e anche la restituzione delle salme di 100 palestinesi sepolti nei «cimiteri dei nemici» in Israele. Più di tutto è motivo di felicità  nei Territori l’annuncio della liberazione di Bilal Diab e Thaer Halahla, i due prigionieri che, sfidando la morte, per 76 giorni hanno rifiutato il cibo perché chiusi in cella senza aver subito un processo. Tuttavia è doveroso sottolineare che Israele non ha rinunciato alla «detenzione amministrativa», illegale per la legge internazionale e obiettivo principale dello sciopero della fame, ma ha promesso ai mediatori egiziani soltando che la userà  con «moderazione». 
I palestinesi ieri sono scesi a migliaia nelle strade per commemorare il 64esimo anniversario della Nakba, non solo nei Territori occupati ma anche in Libano e altri paesi arabi. Al Cairo un corteo di 2mila egiziani e palestinesi ha attraversato il centro commerciale dalla moschea Omar Makram fino all’università  americana. A fine giornata il bilancio è stato meno grave rispetto a quello dell’anno scorso. Il 15 maggio 2011 migliaia di rifugiati cercarono di varcare le linee armistiziali tra Israele con la Siria. Le forze di sicurezza israeliane risposero uccidendo 8 persone e provocando centinaia di feriti. 
Dalla prigione di Ofer i soldati ieri hanno lanciato gas lacrimogeni e granate assordanti contro i manifestanti, ferendo o intossicando 63 persone, tra cui un ragazzo di 16 anni. Al posto di blocco di Qalandiya, tra Ramallah e Gerusalemme, un centinaio di manifestanti ha scagliato pietre contro le postazioni dell’esercito israeliano che ha risposto sparando candelotti di gas lacrimogeni. A Nilin (Ramallah) alcuni dimostranti hanno cercato di attraversare il check-point all’estremità  del villaggio ma i soldati li hanno bloccati: tre persone sono state arrestate, tra cui l’attivista Naji Tamimi. Manifestazione anche al posto di blocco tra Betlemme e Gerusalemme ma in questo caso è stata la polizia dell’Anp di Abu Mazen a fermare un paio di centinaia di giovani dimostranti partiti dal campo profughi di Aida. Incidenti anche a Gerusalemme. Nel quartiere di Issawiya quattro palestinesi sono stati arrestati. E in migliaia hanno sfilato in corteo anche a Hebron (dove ci sono stati scontri con gli israeliani), a Ramallah e a Qalqiliya. A Gaza la manifestazione è terminata al quartier generale dell’Onu dove i partecipanti hanno scandito slogan in sostegno del diritto al ritorno per i profughi.


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