Nel paese che non c’è più “Siamo tornati al Medioevo ormai restano solo macerie”

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MIRANDOLA (Modena) – Forse l’epicentro è qui, attorno a questo tavolino di plastica rossa. Un cartello, scritto a mano, spiega che qui ci sono gli «elenchi delle persone trovate e della persone da cercare». Il terremoto uccide, ferisce e fa anche perdere la testa. «Sono già  state portate da me almeno dieci persone – dice Monica Benati, funzionaria del Comune, ora seduta al tavolo – che non sapevano più dov’erano e chi erano». «Anziani, soprattutto. Sono scappati di casa dopo la scossa e poi si sono persi in mezzo a una giungla di macerie e di sirene». Qualcuno li ha presi per mano, li ha accompagnati al tavolo rosso, nel prato della scuola media diventata il nuovo municipio. «Avevano perso ogni punto di riferimento: dove c’era il duomo ci sono solo macerie, i bar sono chiusi, il forno è crollato. Per questi anziani – ma c’erano anche persone con meno anni – è stato come camminare nella nebbia. Li abbiamo dissetati e portati alla mensa, e abbiamo cercato per loro un posto sicuro, lontano da qui». 
È però difficile andare «lontano» e fuggire da un sisma che sembra avere preso il galoppo verso paesi e città  che prima avevano avuto qualche crepa e che adesso sono diventati «zona rossa». Inizia a Cavezzo, questo che purtroppo è il secondo viaggio nel cuore del terremoto, otto giorni dopo quella sembrava essere la sola «grande scossa». E invece arriva alle 9 del mattino, il nuovo colpo di maglio che scuote la terra. Il sindaco, Stefano Draghetti, ha un occhio pesto. Si è preso un calcinaccio mentre usciva dal Comune, che è nuovo e sembrava essere agibile. «Cavezzo è un paese morto, devo fare l’evacuazione». Chiama i vigili del fuoco. «Staccate il gas, ma lasciate la luce elettrica, altrimenti stanotte si morirà  di paura». Quando mancano cinque minuti all’una, un altro colpo. La grande ruspa che è in via Cavour sembra un giocattolo. Sobbalza, salta e a destra e sinistra. Il boato del terremoto si confonde con quello dei crolli. Altre tre case, dopo quelle cadute alle 9, si spaccano in via Primo Maggio. 
«Sono morti tre operai nei capannoni industriali», dice Maria Cristina Ferraguti, assessore alle attività  produttive. «È morta anche Daniela Malavasi, che faceva la maestra alla scuola materna. Le volevamo bene tutti. La scuola era chiusa, e allora lei era andata a trovare il marito che ha una falegnameria, crollata di colpo. Stiamo cercando un anziano che abitava in via Mazzini». Cavezzo, 7300 abitanti, è conosciuto in mezza Emilia e anche in Veneto perché qui si svolge «Il gran mercato della domenica», con centinaia di ambulanti». «Funziona dal 1767, si è fermato solo con le guerre». Si fermerà  anche adesso, con la guerra che è partita da sottoterra. Nella piazza del Monumento c’è un palazzo a due piani, ma basta guardarlo meglio per capire che fino a stamattina di piani ne aveva quattro. «E pensare – dice l’assessore – che ieri sera quasi ci mangiavano la faccia, quando abbiamo ordinato lo sgombero di 6 palazzine. Erano intatte, ma vicino a case pericolanti. C’erano decine di famiglie che non volevano andarsene. E questa mattina quella palazzine, per fortuna vuote, sono cadute tutte». 
Riesce a sorridere, l’assessore Ferraguti. «Ci è rimasta la campagna, per fortuna. Metteremo delle tende nei campi di mais, vicino a strade sicure e lontano da ogni casa. I pochi sfollati della prima scossa li avevamo messi al palasport, ma oggi anche lì c’è stato un crollo». Ma arriveranno domani, le tende. Stanotte, come in tutta questa Bassa devastata, si dormirà  in macchina, nei parcheggi lontano dai palazzi. Anche i vigili del fuoco stanno in mezzo alla piazza, perché con le scosse continua non si riesce a lavorare. «Interveniamo solo se ci segnalano dei feriti». 
Il disastro di Medolla è lontano dal centro storico. È nei capannoni industriali del biomedicale che cadono giù come foglie in autunno, e sotto ci sono gli operai chiamati al lavoro. Sono operai anche Juri Lolli e Adil Meziane, arrivati dalla ditta Rcm di Monteveglio, nel bolognese, e ora in piazza Garibaldi a distribuire cibo. «Anche noi abbiamo sentito la scossa, stamattina, e abbiamo deciso di uscire dalla fabbrica. Ma c’erano i pasti pronti per la mensa, e allora li abbiamo portati qui». Il sindaco, Filippo Molinari, è sotto un gazebo. «Avevamo messo il Coc, centro operativo comunale, dentro la scuola elementare, che al primo colpo aveva resistito bene. Adesso anche la scuola è danneggiata, il Coc è all’aperto. Ho mandato una macchina con gli altoparlanti per dire a tutti di non rientrare nelle case. Aspetto 450 tende per stanotte, spero arrivino». 
A Mirandola sembra tornato il medioevo. Tutte le porte della città , tutte le strade di accesso, sono presidiate da vigili e carabinieri. I nastri biancorossi sostituiscono le antiche mura. Quello che resta dell’ospedale è all’aperto, ma sembra organizzato bene. Ci sono le tende per la diabetologia, per la cardiologia, un container per la radiologia. Era crollato un pezzo del tetto del Duomo, otto giorni fa. Oggi è venuta giù anche la facciata, e anche la chiesa di San Francesco – la seconda dedicata a questo Santo, dopo quella di Assisi – e quella del Gesù, assieme a centinaia di case e palazzi. Il sindaco, Maino Benatti, sta gridando al telefono per chiedere nuovi soccorsi. «Mi avevate promesso tre colonne e adesso mi dite che entro stasera ne arriva solo una. Dove metto a dormire la mia gente?». Venticinquemila abitanti e già  prima della nuova scossa il 45% delle case erano non abitabili. «Stavamo controllando il centro pezzo per pezzo – dice Maino Benatti – per recuperare le case agibili. Adesso non è più possibile. Tutto il centro deve essere chiuso e non so quando potremo mettere mano a una zona rossa così grande». 
Nel prato dove c’è il tavolo rosso con le «persone trovate» ci sono anche gli altri «uffici comunali». Impiegati e dirigenti che sono qui anche se la loro casa è distrutta. «Sulla mia – dice Fabio Montella – sta cadendo la torre dell’acquedotto. Anche la mia compagna ha la casa distrutta». Ma sono tutti qui, a prenotare tende per i cittadini, a ordinare altri pasti per chi stasera non avrà  nulla da mangiare. A Concordia, 9000 abitanti accanto all’argine della Secchia, a sera sono ancora tutti a digiuno. «E nemmeno per il pranzo non è arrivato nulla. Per un solo giorno, non ne facciamo un dramma». Qui si vive nel parco davanti al municipio e la caserma dei carabinieri, ambedue crollati. «Se la prima scossa è arrivata a 10 – dice il sindaco Carlo Marchini – questa è arrivata a 100. Non c’è più una casa in piedi, nel centro, e anche in periferia ci sono abitazioni implose. Speriamo che domani arrivi una tendopoli con 250 posti, per mettere al riparo i malati e gli invalidi. Io e tutti gli altri dormiremo in macchina». 
Sono arrabbiati, qui a Concordia, perché pensavano di esser «fuori» dal terremoto. Davanti al furgone dei vigili del fuoco c’è chi chiede di entrare in casa per prendere le medicine, e chi invece vorrebbe un aiuto per tirare fuori dalla stalla venti vacche. «Dobbiamo salvare gli uomini, prima di tutto». Si aspettava una giornata quasi normale, con le ispezioni ai palazzi che erano stati lesionati. E invece la scossa ha anche ucciso. Sergio Cobellini stava uscendo dalla banca della piazza quando è stato travolto da un comignolo. Nell’angolo dov’è morto, da lontano, si vedono solo calcinacci.


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