Olio ai minimi, la beffa Piigs

by Editore | 29 Maggio 2012 7:24

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Il valore di una tonnellata di extra vergine al mercato all’ingrosso è sceso a 2.900 dollari: il minimo da 10 anni e meno della metà  delle quotazioni di sette anni fa, secondo il Fondo monetario internazionale. Per Grecia, Spagna e Italia — che insieme mettono sul mercato il 70% della produzione mondiale di olio — non sono buone notizie; e gli stock (le giacenze di magazzino) potrebbero salire alla fine di questa stagione al livello record di 1,1 milioni di tonnellate, vale a dire circa un terzo del consumo mondiale. Sono le stime — riportate sul «Financial Times» — del «Consiglio internazionale dell’olio d’oliva» con sede a Madrid, che parla anche di calo dei consumi nel mercato mediterraneo.
Anche in questo campo, quello dell’olio (ma non solo d’oliva), si ripete un confronto ormai citatissimo nella globalizzazione, quello tra Europa e Cina. Dove la forte domanda di olio di soia, unita a raccolti sotto le aspettative in Sud America, ha fatto schizzare verso l’alto il prezzo di una materia prima tipica di un Paese già  in forte espansione. Quindi, dalla finanza all’olio, in Cina piove sul bagnato, in Europa tutt’altro. 
Sull’argomento «quotazioni» è intervenuta ieri — con qualche «distinguo» — anche la Coldiretti. «Il crollo dei prezzi alla produzione del 19% nel primo trimestre del 2012 — secondo l’associazione — è dovuto al fatto che viene spacciato come Made in Italy olio di oliva importato e non certo al crollo dei consumi che, al contrario, in Italia sono aumentati del 4,2%, mentre la produzione si è ridotta addirittura del 6% nell’ultima raccolta». Quali, allora, i motivi della crisi in Italia? Per la Coldiretti, «la mancanza di trasparenza sulla provenienza dell’olio di oliva in vendita», con un import di olio di oliva straniero in Italia ai massimi storici e superiore alla stessa produzione nazionale. «Oggi — spiega l’associazione — la maggioranza delle bottiglie di olio proviene da olive straniere senza che questo sia sempre chiaro ai consumatori». Insomma, anche se i consumi (in questo caso) tengono, il «made in Italy» non fa altrettanto.

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