Putin alla prova della piazza

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Un avvio complicato, per questa terza presidenza Putin, che nasce in mezzo a diverse difficoltà  interne e internazionali. Gli equilibri tra gruppi e fazioni intorno al vertice sembrano particolarmente instabili, il che ha prodotto un’insolita complicazione – ancora irrisolta – nella stesura degli organigrammi del governo e dell’amministrazione presidenziale: ieri il premier Dmitrij Medvedev ha presentato al presidente la lista dei ministri, ma si è ben guardato dal lasciar trapelare dei nomi, il che segnala con certezza che uno scontro sotterraneo è ancora in corso. Uno scontro tutt’altro che trascurabile, se si prende alla lettera la giustificazione addotta da Putin («sarò troppo impegnato con la messa a punto del governo») per il suo inaudito rifiuto di recarsi a Camp David per l’annuale riunione del G8, venerdì e sabato: non era mai accaduto che un presidente invitato saltasse la riunione e si facesse rappresentare da un altro (in questo caso lo stesso Medvedev). Probabile che nella decisione di Putin (che per i suoi primi viaggi all’estero ha scelto il Kazakhstan e la Cina), ci sia anche la volontà  di dare un segnale di insofferenza verso Usa ed Europa in relazione alle difficili discussioni sullo «scudo antimissile», ma anche la motivazione ufficiale ha una quota di verosimiglianza: la composizione del governo è effettivamente un rebus delicato. 
Si parla di un ritorno sulle poltrone principali dello spin doctor Vladislav Surkov (l’architetto della struttura politica della Russia putiniana, emarginato l’anno scorso) col rango di vicepremier, mentre secondo alcuni dalla compagine dovrebbe uscire uno dei «falchi» più vicini a Putin, Igor Sechin, appena messo dal presidente alla testa del cruciale settore energetico di stato. Più in generale, c’è grande incertezza circa il potere reale che verrà  affidato agli esponenti dell’ala «liberale», che negli anni scorsi avevano largamente gestito l’economia con il ministro Aleksej Kudrin (licenziato l’estate scorsa da Medvedev). 
E intanto il movimento di opposizione, che si pensava sarebbe evaporato dopo l’insediamento ufficiale di Vladimir Vladimirovic al Cremlino, invece non lascia tregua e mobilita l’intellighentsia come solo in Russia si sa fare. Domenica scorsa si è svolta con molto successo la «passeggiata di controllo» degli scrittori, una marcia a piedi guidata da alcune notissime firme del panorama poetico e letterario nazionale; domenica prossima la stessa cosa la faranno gli artisti, portandosi dietro le loro opere in un «museo nomade»: sono iniziative ironiche e «leggere», inattaccabili dal punto di vista legale e però sono punzecchiature che alla lunga lasciano il segno fino a diventare insopportabili per un potere autoritario e poco disposto a sottoporsi alla critica come quello di Vladimir Putin. 
Così anche la pacifica ma vistosa occupazione dei giardini di Chistye Prudy, iniziata martedì scorso, non poteva durare a lungo, nonostante i segnali positivi registrati negli ultimi giorni con la tolleranza mostrata dalle autorità  cittadine rispetto all’installazione dei wc chimici e alla permanenza nei giardinetti di centinaia di giovani notte e giorno. Alla fine il sindaco Sergej Sobyanin ha deciso di chiudere con la scomoda protesta di «occupyabay» (dal nome del poeta kazako Abay Qunanbayuli cui è dedicata una statua nel luogo dell’accampamento): ma questa volta il municipio ha voluto evitare iniziative poliziesche frettolose e così a ordinare lo sgombero è stato il tribunale, secondo procedure che nessuna amministrazione metropolitana occidentale – neanche quella iper-democratica di Milano – ha finora seguito. Certo, la giustificazione per lo sgombero è ridicola – il «disturbo» recato ad alcuni residenti che avrebbero protestato (ma gli edifici residenziali sono assai distanti dal luogo dell’accampamento) e i «danni arrecati ai giardini», stimati dal tribunale nell’astronomica cifra di 650.000 dollari, chiaramente senza senso per un po’ d’erba calpestata – ma resta pur sempre il fatto che amministrazione e polizia non hanno voluto agire senza l’ordine di un giudice, che ha dato agli occupanti 24 ore di tempo – fino a oggi a mezzogiorno – per lasciar libero il luogo. 
Bisogna ora capire se, come e dove questo tentativo di «occupare Mosca» proseguirà  nei prossimi giorni: un primo tentativo di re-installarsi davanti al teatro Bolshoi è fallito perché la piazza è stata prontamente sigillata dalla polizia; nell’adiacente piazza della Rivoluzione alcuni leader dell’opposizione politica hanno tenuto un comizio, però con pochissimi presenti. Alcuni hanno suggerito di restare nei giardini di Chistye Prudy e resistere oggi allo sgombero, ma non sembra una tattica molto lungimirante. Vedremo dove la fantasia e l’ironia finora mostrata in modo spontaneo dal movimento – i cui leader più noti e combattivi stanno scontando una condanna a 15 giorni di prigione per gli incidenti di domenica 6 – andranno a parare per rinnovare la sfida alle autorità .


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