“Non abbiate paura delle rivolte arabe è la nostra strada verso la democrazia”

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TUNISI – L’Europa non deve aver paura delle rivoluzioni arabe, se queste portano la democrazia. Il presidente tunisino Moncef Marzouki non parla di quello che succede in altri paesi, ma ci tiene a sottolineare che attraverso i movimenti della “Primavera” la sponda Sud del Mediterraneo è diventata più vicina. 
Presidente, che cosa succede nel mondo arabo, fra rivoluzioni laiche ed estremismo islamico?
«L’Europa si chiede se quello che succede sia o no un bene. Credo che debba essere molto contenta: per la prima volta il vecchio continente e il Sud del Mediterraneo condividono gli stessi valori di democrazia. Anche le nazioni europee sono dovute passare attraverso la guerra per liberarsi delle dittature. E i paesi democratici possono godere di stabilità  e sviluppo».
Che cosa direbbe a chi, in Europa, guarda al trionfo dei movimenti islamici con una certa inquietudine?
«Non è corretto parlare di trionfo dell’islamismo, è la vittoria della democrazia. Una parte molto importante del mondo islamico ha accettato il sistema democratico, tenendo ferma l’identità  musulmana. Da noi Ennahda è un po’ come in Italia era la Democrazia cristiana. Poi ci sono altri piccoli partiti, pericolosi dal punto di vista dei diritti umani, dei diritti delle donne. Ma chi usa la democrazia ne diventa ostaggio. Ci vorrà  un periodo di transizione, altre elezioni, per arrivare a un regime stabile e democratico. E assieme alla stabilità  arriverà  lo sviluppo, con gli investimenti stranieri. Insomma, la “Primavera” non è un pericolo, ma un’opportunità ».
Lei è un laico, come convive con le tensioni religiose? 
«Una parte della popolazione tunisina è laica, secolare, modernista. L’altra è più tradizionale, legata all’identità  islamica. Contrariamente a quello che succede in Egitto, queste due parti convivono tranquillamente. Io voglio essere il presidente di tutti i tunisini». 
Ma come vanno interpretate le spinte dei radicali, per esempio dei salafiti tunisini?
«Oggi siamo una democrazia, c’è il diritto a manifestare il pensiero, e anche i salafiti lo possono sfruttare. Anche se le loro idee mi disgustano, rispetto il loro diritto di esprimerle. La linea rossa è la violenza, che non sarà  tollerata. Ma non si ritornerà  ai metodi di un tempo, con la tortura. Se i salafiti vogliono una rappresentanza politica, perché no? Così seguono le regole della democrazia. Urlano forte, ma non credo siano un pericolo reale. La società  tunisina è fondamentalmente moderata, i salafiti sono giovani poco istruiti, poveri, a volte disperati. Non sono un movimento politico, ma sociale. La reazione dev’essere tolleranza, sviluppo, difesa dei diritti. Ben Ali usava la repressione, ma non ha funzionato».
Però ci sono anche segnali inquietanti: i predicatori che chiedono la caccia agli ebrei, che invitano a prendere le armi, che attaccano chi vende alcolici. L’ultimo è il leader del partito Jebher Al Islah che vuole abolire l’obbligo di monogamia. Che ne pensa?
«La poligamia in Tunisia è sparita prima che la vietasse Habib Bourghiba. La monogamia è semplicemente un adattamento alla situazione reale. Sono solo chiacchiere per attirare attenzione».
I salafiti vogliono la sharia, non c’è il rischio che impongano misure incompatibili con la presenza dei turisti, una risorsa fondamentale per il paese?
«E’ ridicolo pensare che qui si possa imporre la legge islamica. Questo paese è aperto e tollerante da trecento anni, continueremo ad avere ospiti europei senza problemi. Mi dispiace che i media seguano troppo le sciocchezze che dicono certi personaggi, perché possono danneggiare l’economia tunisina. Immagini come cambierebbe lo scenario se il paese restasse senza turisti, se mancasse lo sviluppo economico, se le famiglie non potessero permettersi di mandare i ragazzi a scuola».
C’è anche un altro aspetto che inquieta l’Europa, e l’Italia in particolare, quello delle migrazioni incontrollate. Qual è secondo lei la soluzione possibile?
«In passato una delle ragioni più importanti per il sostegno alle dittature in Libia, in Tunisia, in Egitto – mi dispiace molto dirlo – era che i dittatori difendevano l’Europa dalle migrazioni illegali, perché fermavano i poveri e i disperati. Ma ora se l’Europa vuole fermare le migrazioni, l’unica strada è quello dello sviluppo e della democrazia».
Che cosa si aspetta la Tunisia dalla comunità  internazionale?
«Maggior sostegno economico e politico. Ma anche maggior comprensione di quello che accade. La paura è inaccettabile, quello che succede nel mondo arabo è un bene per tutti, anche per l’Europa».


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