“Ogni Stato realizzi un piano per sopportare l’uscita di Atene”

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BRUXELLES – Non bastano più le smentite, il “Grexit” esiste. Il piano per gestire l’eventuale uscita della Grecia dall’euro è allo studio delle capitali europee, delle istituzioni Ue e delle banche di tutto il continente. E irrompe nel vertice notturno di Bruxelles, dove i capi di Stato e di governo dell’Unione erano arrivati per lanciare il dibattito sulla crescita da chiudere al summit del 28 giugno. Non può essere altrimenti, visto che sono state proprio le notizie sulla Grecia ad affondare le Borse di tutto il continente. Dunque l’Europa si muove su due binari: da un lato cerca tenere Atene nell’Unione monetaria, dall’altra si prepara all’indicibile, sperando così di evitare l’inferno di un euro che si disintegra sulla scia del default di Atene. 
L’incertezza che spezza le gambe ai mercati parte da Lucas Papademos, l’ex premier tecnico greco che al Wall Street Journal dice: «Sebbene un simile scenario sia poco probabile e non auspicabile, non si può escludere che ci siano preparativi in corso per limitare le potenziali conseguenze di una nostra uscita dalla zona euro». Una prima ammissione sulla quale fioccano notizie sempre più drammatiche. Se da un lato è scontato che l’Europa si prepari allo tsunami greco (sarebbe folle il contrario), dall’altro lo stillicidio di news che filtrano dai palazzi europei terrorizza i mercati. Viene fuori che anche la Bce ha messo in piedi una task force per monitorare la Grecia e prepararsi al suo addio dalla moneta unica. Guarda caso il team è guidato da Jorg Asmussen, falco tedesco nel direttivo dell’Eurotower. A Francoforte si ragiona su nuove immissioni di liquidità  nel sistema bancario (specialmente franco-tedesco) che rimarrebbe ferito dall’insolvenza di Atene e sulle garanzie di parte dei depositi per evitare la fuga dei correntisti che dissanguerebbe il sistema finanziario. Non sta con le mani in mano nemmeno la Bundesbank, che crea l’unità  di crisi sulla Grecia. E con piglio considerato da molte capitali controproducente fa sapere che «considera gestibile» il ritorno alla dracma. 
A poco servono gli appelli del numero uno dell’Fmi, Christine Lagarde, e del premier britannico David Cameron che chiedono di aumentare gli aiuti e di allungare i tempi per il risanamento greco. Perché esce la notizia che fa saltare il banco: gli sherpa dell’Eurogruppo hanno deciso che ogni capitale deve preparare un proprio piano di emergenza nel caso di uscita della Grecia. Devono valutari rischi e contromisure. E’ il finimondo. Mentre le Borse crollano fonti europee smentiscono, il governo greco idem. Ma il re è nudo, e a dirlo ci pensa il ministro delle finanze belga Steven Vanackere: «I piani di contingenza per un’uscita della Grecia esistono ed è irresponsabile negarlo, un governo deve prevedere anche quello che spera di evitare». Era stato un altro fiammingo, Karel De Gucht, a rivelare nei giorni scorsi che anche la Commissione Ue sotto traccia si sta preparando. Ammissioni che molti governi considerano controproducenti perché aumentano la tensione e spaventano i greci, che potrebbero premiare definitivamente i partiti anti-euro. Nella notte i leader a Bruxelles studiano una «norma di linguaggio» alla quale attenersi fino al voto greco per evitare altri disastri.
Al momento sembra impossibile dare più soldi e tempo ai greci. Si lavora per far capire agli ellenici che in caso di vittoria della sinistra di Syriza l’uscita dalll’euro sarebbe un dramma senza precedenti ben peggiore dei sacrifici chiesti dall’Unione. Si prova ad aiutare Pasok e Nuova Democrazia a vincere le elezioni del 17 giugno, mentre gli uomini della Troika Ue-Fmi-Bce cercano di rimodulare il memorandum firmato da Atene in cambio degli aiuti per renderlo socialmente più morbido. Ma di cambiarlo non se ne parla, Berlino non vuole. I margini di manovra sono pochi e qualcosa potrebbe andare storto. 
L’altra emergenza affrontata dai leader nella notte di Bruxelles sono le banche spagnole, ulteriore mina che potrebbe far saltare l’Europa. Potrebbero avere bisogno di 60 miliardi di aiuti. Madrid dice che ce la farà  da sola, ma in pochi in Europa ci credono. Ne hanno discusso ieri mattina in teleconferenza Draghi, Van Rompuy, Barroso e Juncker. Ne parlano a cena i 27. L’idea considerata vitale da Monti è quella di dare al fondo salva-Stati Ue (Esm) una licenza bancaria che gli permetta di drenare liquidità  direttamente dalla Bce e salvare le banche in crisi. 
Anche sulla crescita la discussione è aspra. Sul minimo del minimo, misure in pratica già  prese da rivendere alla bisogna, sono tutti d’accordo: project bond, ricapitalizzazione della Banca europea degli investimenti per finanziare infrastrutture e uso dei fondi strutturali per lo sviluppo. Sul resto si battaglia. Italia, Francia, Spagna e Inghilterra nel pomeriggio si coordinano per spartirsi i compiti, per avere una forza d’urto in grado di smuovere la Merkel. Si lotta per inserire in un documento finale Eurobond, più poteri alla Bce, Golden rule. Entrerebbero nei negoziati per giugno.


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